Darren Aronofsky
Darren Aronofsky, newyorkese ebreo di origini ucraine nacque nel 1969, l'anno di uscita di Easy Rider e della strage di Charles Manson perpetuata nella villa di Roman Polanski. Nel 1998 gira il suo film d'esordio: "Pi Greco teorema del delirio”, che gli varrà il riconoscimento come miglior sceneggiatore esordiente agli "Independent Spirit Award" l'anno successivo. Film in bianco e nero, narra di un giovane eccentrico matematico perseguitato dalle emicranie convinto che la matematica e la logica siano i linguaggi primi della natura del mondo. Genio del suo tempo e nel suo campo viene preso di mira da agenti di Wall Street ed ebrei ortodossi, entrambi i gruppi con un obiettivo e desiderosi di sfruttare le doti del protagonista Max. In questo primo film è già chiaro quello che sarà il main theme delle pellicole aronofskiane: la ricerca della felicità.
Mentre per Max questa felicità si confonde con l'ossessione per i numeri e la scienza, nella pellicola successiva, "Requiem for a Dream", essa viene ricercata nei paradisi artificiali. I quattro protagonisti del secondo film del regista, infatti, ottengono in maniera casuale (e questo della casualità sarà un tema davvero caro all'autore) la possibilità di raggiungere questa felicità. Tutti e quattro la annusano e si inebriano, in un'estate passata a spacciare o ad aspettare sotto un sole cocente lettere di un emittente televisiva. Ma dopo l'estate c'è l'autunno, seguito inevitabilmente dall'inverno e quella felicità, soltanto sfiorata, sparisce ed al suo posto appaiono le conseguenze, le conseguenze del mezzo per raggiungere il fine. Anti-machiavellianamente, è il mezzo con cui questi quattro individui hanno cercato di essere felici a non lasciare sopravvissuti. La droga non porterà nessuna primavera. Il finale in questo caso (e lo sarà sempre) è drammatico, la ricerca è fallita miseramente negando così ogni possibile felicità “alla Baudelaire”.
Il terzo film del regista, indubbiamente il meno riuscito, non esce da questa logica. La felicità del medico protagonista sarebbe la guarigione del tumore della moglie. Ed è la speranza questa volta il grande dissuasore, la speranza portata da una scoperta, casuale, di un fiore con proprietà che potrebbero aiutare la consorte. Ma la felicità, anche in questo caso, resta un miraggio ed alla fine di "The Fountain" la giovane sposa muore, e l'ossessione di chi rimane in vita palesa il fallimento di quest’ ultimo. D'altra parte su questa pellicola si potrebbe dire molto altro, si potrebbe parlare del doppio filo che lega la vicenda al misticismo descritto dalla moglie, al dibattito tra fede e ragione, se ci sia o no un altra vita. Certo si potrebbe, ma non bisogna lasciarsi ingannare. Chi rimane in vita è il marito, un marito che ha fallito, un marito che alla fine non possiede più quella speranza che invece la moglie, in vita, ha tentato di infondergli.
Infine ci sono gli ultimi (ad oggi) film di Darren Aronofsky: "The Wrestler" e "Il Cigno Nero". La tematica è sempre la stessa, ma c'è un di più che rende le due pellicole forse le più drammatiche del precipizio aronofskiano: con luci ed i colori sempre cupi, angoscianti e nel "cigno nero" quasi claustrofobiche, si accompagna lo stesso messaggio che, a differenza di “Requiem For A Dream” è destinato a penetrare anche le persone per bene, le persone nostalgiche ed ambiziose.
Il protagonista di "The Wrestler" è un ex lottatore Randy "The Ram", e la sua ossessione è il suo passato di gloria e di stella, che nel mondo dello sport entertainment ha vita breve e che lascia dietro di sè vittime quasi da “Sindrome del Vietnam” (anche in questo caso è bene notare che la notorietà del passato è figlia della casualità, essendo il wrestling non uno sport vero e proprio, ma uno spettacolo, in cui sono i produttori a decidere chi deve vincere e diventare una gloria e chi un semplice jobber). L'obiettivo di Randy è quello di raggiungere di nuovo quella gloria, di essere di nuovo "The Ram". Alcune scene sono davvero eloquenti, come quando egli gioca ad un videogioco anni '80, con il vicino di casa, emulando lo scontro che lo consegnò alla leggenda, contro "L'Ayatollah". Questa ossessione per il passato lo porterà, come prevedibile, al baratro, e nonostante una diagnosi nefasta di un difetto cardiaco egli deciderà di perseguire il suo obiettivo e, davanti ad un risicato numero di persone in una stanza con pareti ricoperte da carta da parati, egli de facto compirà il suo suicidio, in nome del suo glorioso passato.
Ma non è ancora finita, il salto verticale più catastrofico verrà compiuto dalla ballerina de "Il cigno nero" e questa è l'analisi forse più delicata delle varie pellicole di Aronofsky. Nina è un ottima ballerina, forse la più brava del New York Ballet. Ma non basta, per essere la protagonista de “Il lago dei cigni” bisogna essere anche il Cigno nero; passionali, magari imprecisi ma istintivi. Ed è qui che Nina diventa bipolare, ricerca il sordido che c'è in lei, lo esterna diventando un doppio mostruoso, allucinato; da una parte la Nina precisa e tecnica, brava ragazza e molto timida, dall'altra il suo alter ego, nato dalla mimesi per la sua collega, definita “Il Sesso”. Il fine di tutto ciò è la perfezione, l'ultimo stadio della felicità, la montagna più alta da scalare che, suo malgrado, si rivelerà il più grande salto nel vuoto. La morte più terribile colpirà Nina che, in preda all'ultima allucinazione, si suiciderà. L'escalation è chiara, Aronofsky vuol farci sapere che non c'è scampo. La ricerca della felicità è destinata a fallire. L'ossessione è la morte dell' individuo. Il regista, però, pone un'eccezione, e questa è estremamente dostoevskiana. Per visualizzarla bisogna ritornare alla conclusione del primo film. Per trovare la serenità, Max rinuncia. Come un San Francesco che si libera dei suoi averi, Max si trapana il cranio e si priva del suo dono, della sua più grande qualità, della sua ossessione. Max diventa normale e guardando il mondo dal basso verso l'alto a differenza di tutti coloro che giocheranno a fare Dio, godrà di esso e, sorridendo alla ragazzina che gli chiede di risolvere un calcolo, risponderà: "I don't know, what is it?"
Altai Garin
Tweet