A Il grande ritorno del cinema di genere e la sacralizzazione dei suoi Maestri

Il grande ritorno del cinema di genere e la sacralizzazione dei suoi Maestri

Il cinema è un'industria, questo ormai lo abbiamo imparato da un secolo circa. La tabella di marcia delle uscite in sala è quindi influenzata da tutta una serie di fattori economici, essenzialmente rappresentati dalla quantità di incassi che si spera di ottenere. Se escludiamo i film costruiti appositamente per gli spettatori festivi (quelli che vanno al cinema solo a Natale e d'estate quando piove), per i bambini e per gli irriducibili delle grandi saghe (Star Wars, Hunger Games, Harry Potter e compagnia) è difficile farsi un'idea delle preferenze cinematografiche italiane, almeno basandosi esclusivamente sulla parola del botteghino. Un importante specchio per l'evoluzione del gusto cinefilo nostrano è, però, rappresentato dai festival e più nello specifico dai festival che non sono la Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia. Questo perché a Venezia la tipologia di fruitore è decisamente più selezionata e rimane, quindi, un po' a margine nell'indagine delle preferenze del cittadino medio.

Nel 2014 e, in particolare, nel 2015, abbiamo assistito a un proliferare meraviglioso di incontri festivalieri dedicati al cinema di genere e ai suoi protagonisti. E non si parla di protagonisti trascurabili, si parla dei grandi Maestri, dei geni, dei precursori immortali. Un'altro particolare fondamentale è che questi protagonisti sono tutti registi: non solo l'Italia si sta riscoprendo amante del genere, visti i numeri riguardanti l'affluenza ai vari eventi, ma lo sta facendo attraverso una contemporanea riscoperta della "politica degli autori". Un horror può essere un film d'autore? Certo che sì. Ecco cosa gridano al mondo tutti gli spettatori che sgomitano per avere un posto in sala davanti ad artisti del noir, dell'orrore, della fantascienza e del poliziesco.

Uno dei primi grandi esempi di questa new wave del cinema di genere è stato il Lucca Film Festival, che ha portato in Toscana il leggendario David Lynch. A cavallo tra settembre e ottobre 2014, la città si è trasformata in un formicaio, dove fan nuovi e vecchi del lavoro di Lynch si sono riversati per assistere alle sue conferenze, proiezioni e lezioni. L'affluenza è stata impressionante e la direzione del festival ha saggiamente scelto di replicare l'anno successivo con un altro David d'eccezione, David Cronenberg. Purtroppo, per motivi di salute, il regista non ha potuto presenziare, ma per non far pesare troppo la propria assenza ha inviato uno dei suoi attori feticcio, Jeremy Irons, mentre la parte autoriale delle lezioni è stata riservata a quel pazzo di Terry Gilliam. Non c'è due senza tre e per l'edizione 2016 il Lucca Film Festival spalanca le proprie porte a un capostipite del cinema di genere, ovvero George Romero.

Oltre al festival toscano, altre kermesse hanno contribuito a dare nuova linfa a generi come l'horror, il poliziesco, il noir e la fantascienza. Alla Festa del Cinema di Roma 2015 due degli autori più attesi erano, infatti, Joel Coen e William Friedkin, protagonisti di due affollatissimi incontri all'Auditorium Parco della Musica. Non dimentichiamoci poi che il 2015 è stato l'anno di Dario Argento, non a caso al fianco dell'amico Friedkin durante la manifestazione romana. Nel 1975 usciva "Profondo Rosso" e, per il suo quarantennale, il regista ha presieduto a una serie di proiezioni e mostre in giro per l'Italia, promuovendo contestualmente il suo ritorno al melodramma con la direzione del "Macbeth" di William Shakespeare.

Questi grandi festival la dicono lunga sulla nuova fortuna critica del cinema di genere, ma da dove nasce questa sacrosanta riscoperta? Una delle plausibili spiegazioni al fenomeno può essere rintracciata nel boom della serialità televisiva degli ultimi anni. Ben prima dell'avvento di Netflix e dello streaming legale, i cinefili alla ricerca di novità avevano capito che i linguaggi cinematografici stavano trasmigrando verso il cugino generalista, la televisione. Con il proliferare delle produzioni seriali ad hoc, abbiamo assistito, all'inizio probabilmente senza rendercene conto, allo sdoganamento della violenza, del sangue, del sesso e della contaminazione di genere all'interno di prodotti multimediali che sempre meno hanno a che fare con il mezzo televisivo. I veri divoratori di serie ormai possono fare a meno del televisiore.

Lasciando da parte la questione linguistica e di stile, nelle serie di maggior successo non c'è (quasi) più censura e questa mancanza di barriere altro non fa che rendere pop ciò che un tempo era gore. Con American Horror Story, Penny Dreadfull, Hannibal e The Walking Dead abbiamo detto sì ai mostri, con Breaking Bad, Fargo e True Detective ci siamo innamorati del crimine, grazie a The Knick e Game of Thrones possiamo sopportare operazioni a cuore aperto e omicidi di ogni tipo. La narrazione di genere si è, quindi, meravigliosamente appropriata del pubblico seriale, ampio e potenzialmente indifferenziato, ed è riuscita a convincerlo che horror, crimine e fantasy possono essere materiale d'essai.

 

 

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