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9/10

The Zero Theorem regia di Terry Gilliam

Fantasy
recensione di A. Graziosi

In un futuro dominato dalle corporazioni, la popolazione è controllata attraverso videocamere, dalla figura umana chiamata Management. Qohen Leth è un hacker che lavora rinchiuso in casa, interrotto saltuariamente da Bainsley, una donna tentatrice che lo invita a fare del sesso virtuale, mentre Bob, un bambino prodigio figlio di Management, lo invita a continuare il suo lavoro senza distrazioni. Qohen cercherà di scoprire la ragione dell'esistenza umana e della condizione sociale attuale.

In un futuro distopico non troppo lontano, Qohen Leth (Christoph Waltz), una sorta di genio matematico informatico, cerca di assolvere un difficilissimo - praticamente impossibile - progetto lavorativo assegnatogli da Management (Matt Demon), supercapo di una megacorporazione che in pratica influenza e controlla tutta la società: in ballo c'è, oltre alla sanità mentale del protagonista stesso, la comprensione del senso della vita e dell'universo.

In questo compito, miseramente fallito da tutti coloro che ci hanno provato prima, Qohen è aiutato e incitato dal giovane Bob (Lucas Hedges) e viene invece distratto continuamente dalla sexy e dolce Bainsley (Mélanie Thierry), che dapprima sembra a invitarlo almeno in parte ai piaceri della vita (anche se le componente virtuale sarà sempre più presente): Qohen più che che ad uno scienziato somiglia ad un ecclesiastico e vive non a caso completamente solo in una chiesa sconsacrata e mezza bruciata, sempre in attesa di una "chiamata" di un Godot che non arriverà mai, sempre alle prese con gli ordini di un analogo dio in terra che non gli lascia pace e tempo di pensare a se stesso e al senso delle proprie azioni.

A parte gli ovvi parallelismi alla precedente filmografia di Terry Gilliam, in particolare Brazil, The Zero Theorem sembra farsi forza della struttura di un precedente eccellente cult in materia, ovvero Pi greco - Il teorema del delirio di Darren Aronofsky, al punto che i protagonisti dei due film hanno praticamente lo stesso nome, anche se trascritto in modo diverso, oltre che più o meno le stesse ambizioni e solitudini: per sua fortuna il Qohen di Gilliam non raggiunge le vette psicotiche di Maximillian Cohen ma la sua dedizione fanatica al lavoro, l'isolamento coatto, la mancanza di comunicazione con altri esseri umani lo riempiono comunque di un accumulo debilitante di nevrosi, tic, dissociazione.

La bravura da fuori classe di Christoph Waltz, il quale riesce ad esprimere tutte le possibile gradazioni e sfumature del represso mondo interiore del protagonista che cerca in tutti i modi di uscire allo scoperto, si unisce qui alla genialità sempreverde di Terry Gilliam dando vita ad un mondo dove i colori fluo della pubblicità onnipresente cercano di distogliere dal grigiore di esistenze sempre meno consapevoli e padrone di se stesse. Si tratta di un mondo che, per quanto ridicolo nella sua moda e stile così marcati, è la fotocopia deformata e grottesca di molte cose che stiamo già vivendo, a cominciare da un certo tipo di isolamento fisico e sociale - subìto un po' da chiunque - che l'affinarsi dei mezzi di comunicazione e della tecnologia sembra a volte più causare che risolvere.

The Zero Theorem è una brillante ed estremamente lucida satira di tutto ciò, molto oggettiva, senza strizzate d'occhio e "sconti" di sorta da parte dell'autore, cosa che invece abbiamo visto succedere ad esempio in Her di Spike Jonze: per fortuna c'è Gilliam a non aver paura di ferire qualche ego nerd narcisista e a far notare che tante volte dall'esterno tuffarsi, dimenticando tutto il resto, nella tecnologia fa somigliare ad un criceto in gabbia che gira sulla ruota, più che a qualcosa o qualcuno di "cool" e all'avanguardia.

Nonostante infatti la patina futuristica, ciò che ribolle sotto al comportamento di Qonen è un sentimento antico, filosofico, se non proprio religioso, imbevuto di un determinismo nemmeno poi così laico che immobilizza l'essere umano, che per compensare va poi a cercare consolazione ed evasione in una realtà virtuale rassicuramente in cui il sole non cala mai (è sempre romanticamente al tramonto), e ci si stende su un'indistinta spiaggia tropicale, anche se è tutto finto, non reale.

Detto ciò, riuscirà il nostro eroe del futuro Qohen Leth a liberarsi del dominio dei propri "superiori", fisici o metafisici che siano? Riuscirà ad accettare l'esistenza del caso, la presenza di una donna in carne ed ossa che gli incasini sanamente la vita, il fatto che il sole prima o poi tramonta ma che, proprio per questo, è meglio goderne lo stesso?

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