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5/10

The Accountant regia di Gavin O'Connor

Thriller
recensione di Eva Cabras

Christian Wolff è autistico, ma grazie alle tecniche militari del padre riesce a controllare la sindrome diventando un membro produttivo della società. La sua strabiliante abilità con i numeri lo porta a una fiorente carriera come contabile al servizio della comunità, ma anche al soldo di criminali internazionali che hanno bisogno di amministrare le loro entrate illecite.

Gavin O'Connor mette le mani sul primo super eroe commercialista della storia del cinema, sprecando una storia dalle potenzialità esplosive in un marasma di banalità. Sfuggente e misteriso, Wolff entra nel mirino delle autorità, scopre inaspettate connessioni emotive e smantella l'operazione truffaldina di un'azienda tecnologica dalle mire espansionistiche, impegnata nella falsificazione dei propri bilanci. Tra introduzione e flashback, The Accountant ci mostra gli anni della formazione di Wolff, il guerriero ossessivo-compulsivo che oscilla continuamente tra puro intelletto e pura fisicità. Il fascino del personaggio è innegabile, ma la scelta di Ben Affleck si rivela ben poco lucida. L'intenzione era probabilmente quella di sfruttare l'inespressività di Affleck, ma autistismo non coincide con due singole espressioni facciali, basate essenzialmente sul cambio di impostazione delle sopracciglia. Attorno alla faccia di gomma del protagonista si dipanano poi una serie di banalità talmente agghiccianti da distrarre in un attimo dalle scene d'azione ottimamente costruite di O'Connor. I cattivi presumibilmente italo-americani si chiamano Gambino e Little Tony (seriamente?), mentre il clou del genio di Wolff all'opera è raggiunto con lui che scrive numeri, funzioni e somme sulle pareti di vetro del proprio ufficio (soltando citanto A Beautiful Mind torniamo indietro al 2001).

A concludere il percorso di normalizzazione di The Accountant ci pensa il finale, in cui l'antieroe che tanto ci aveva coinvolto con le sue avventure criminali nel mondo della contabilità viene riassorbito nell'alveo dei buoni. Chiaramente non lavorava per i cattivi perché era a sua volta cattivo, avido o anaffettivo. Lo faceva per smascherare l'uomo nero dall'interno, nella miglior tradizione del polpettone redentore americano. Menzione speciale per Cynthia Addai-Robinson e J.K. Simmons, protagonisti di una storyline talmente inutile da far sbadigliare, utilizzata per consegnare nelle mani degli spettatori poche e neanche troppo interessanti informazioni sul contabile guerriero, come la sua fissa per gli pseudonimi ispirati a matematici famosi con la sindrome di Asperger. A dare finalmente un brivido a The Accountant accorre Jon Bernthal, che presta il volto a Brax, personaggio che non deve nascondere i propri scatti di violenza dietro propositi edificanti, perché semplicemente la violenza è il suo lavoro. Molti propositi promettenti e alcuni momenti di straniante umorismo non sopperiscono alla generale pesantezza del protagonista e agli svariati momenti di inconsistenza narrativa. Peccato.

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