Quantum Of Solace regia di Marc Forster
AvventuraL'ennesima avventura di James Bond, agente 007, questa volta alle prese con un'organizzazione criminale denominata Quantum, in luogo della gloriosa Spectre. A tormentare Bond, il ricordo dell'amata Vesper e un'inestinguibile sete di vendetta che lo porterà a trovarsi solo contro tutti. Unica alleata la bella Camille, anche lei desiderosa di vendicare il brutale assassinio della sua famiglia.
Quantum of Solace conferma che ogni Bond-movie è un’efficace cartina tornasole per indagare il clima cinematografico e culturale del periodo di appartenenza. Come qualsiasi altro film, direte voi. In effetti sì. Il valore aggiunto, però, è che una serie così longeva fondata sull’appeal di un unico protagonista permette un confronto più diretto tra le diverse modalità di approccio rispetto a trama, sequenze d’azione o al villain di turno. E, ovviamente, rispetto all’essenza dell’immortale James, James Bond.
Per quanto mi riguarda, ci troviamo davanti al peggior film della saga, inferiore anche agli ultimi episodi dell’era Brosnan, o al camp auto-parodico delle pellicole con Roger Moore. E, ovviamente, lontano anni luce dall’epoca d’oro di Sean Connery. Primo problema: il regista. Marc Forster, tedesco di origine, autore, fra gli altri, del sopravvalutato Monster’s Ball (oggi ricordato solo perché ha permesso ad Halle Berry di scippare l’Oscar alla Kidman), degli accettabili Finding Neverland e Stranger Than Fiction e di quello scempio chiamato Il Cacciatore di Aquiloni.
Forster è un cineasta, a mio avviso, irrimediabilmente mediocre. Il suo continuo ricorso ad un montaggio convulso e frenetico rischia di trasfigurare anche scene di dialogo intimiste in estenuanti corpo a corpo. La situazione frana esponenzialmente nelle sequenze d’azione, dove la velocità dei tagli è inversamente proporzionale all’appagamento adrenalinico che lo spettatore potrebbe trarre riuscendo almeno a distinguere cosa accade sullo schermo, chi insegue chi, chi spara a chi e via discorrendo. È stata definita “estetica alla Jason Bourne”. La questione non è sfuggita a critica e pubblico d’oltreoceano, che ora inneggiano ad un immediato ritorno di 007 all’originalità che gli è propria, senza scimmiottare altri mediocri eroi d’azione. Quantum of Solace si rivela un deciso passo indietro rispetto al gradevole Casino Royale, gustosamente anacronistico e tradizionale nella messa in scena, soprattutto nelle scene d’azione.
Un altro problema di fondo è rappresentato dal protagonista. È stato detto, ridetto, smentito, ma la mia opinione (e quella di molti) resta sempre la stessa: Daniel Craig non è e non potrà mai essere Bond, punto. Più semplice di così. L’aria da pugile suonato dell’est-Europa non si addice ad un personaggio ormai storico che ha fatto di ironia ed eleganza i suoi marchi di fabbrica. Ma anche questo è un segno dei tempi, dopotutto. Peccato che le teste d’uovo degli Studios tendano a confondere realistico con greve e spessore con afflizione, come se bastasse un Bond perennemente tormentato a farne un antieroe più “vero” dello 007 graffiante e sbruffone che abbiamo imparato ad amare.
Sprecato Giannini, in un ruolo che avrebbe meritato un trattamento migliore, specie dopo i risvolti del capitolo precedente. Insignificante il cattivo in carica, interpretato dal pur bravo Mathieu Amalric. Goldfinger, Emilio Largo e Le Chiffre erano tutta un’altra cosa. Male anche Olga Kurylenko. La ragazza è una gioia per gli occhi, peccato si dimostri monocorde dall’inizio alla fine. L’unico titolo di cui possa fregiarsi è quello di bond girl più frigida di tutti i tempi, l’unica (se non erro) a non aver ceduto al fascino dell’agente segreto al servizio di Sua Maestà.
La vera rivelazione è Gemma Arterton, alias agente Strawberry Fields, la bond girl più sexy dalla perfida Fiona Volpe (Luciana Paluzzi) di Thunderball. In una parola: magnifica. Una bellezza raffinata di elegante gusto vintage come poche se ne trovano oggigiorno. Sprecata in una pellicola del genere, relegata a poche scene e a subire sulla sua pelle (letteralmente) un’efficace citazione da Goldfinger. Un fulgido raggio di pura sensualità in un film freddo e distaccato quanto un peep show con luci stroboscopiche.
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