The Elephant Man regia di David Lynch
DrammaticoNella contrastante e disumana Londra vittoriana di fine ottocento, siamo spettatori di una delle più morbose e tragiche storie che l'uomo abbia mai raccontato: l'inevitabile e tragica parabola di sdoganamento e sfruttamento del più famoso caso al mondo di fenomeni da baraccone, i cosidetti freaks. La storia di John Merrick appunto, volgarmente etichettato come “l'Uomo elefante ”. Scoperto casualmente in una fiera da un rispettabile ed eminente medico del reale London Hospital, il “mostro” sarà a fatica sottratto al suo padrone-aguzzino, e con la scusa di cure e diagnosi (peraltro inutili data la gravità della patologia, almeno a livello clinico...), diverrà l'oggetto della malsana e spesso ipocrita attenzione di persone, giornali, e personaggi della nobiltà londinese e dello spettacolo.
Obnubilati e corrotti dai terrificanti luoghi comuni sull'esteriorità delle persone, coloro che incuriositi dalle notizie circa il fatto che il povero mostro fosse incredibilmente in realtà un perfetto gentleman inglese, si avvicineranno ad esso, chi con paura, chi con imbarazzo,chi con tenerezza,chi con compassione, chi ancora con malsana curiosità. Essi scopriranno presto quanto l'oscena creatura sia in realtà ben educata, intelligente e persino fin troppo positiva e solare rispetto alla sua miserevole situazione.
Le riflessioni e gli spunti che scaturiscono dal lavoro, chiarendo subito che molte delle situazioni all'interno del film sono decisamente romanzate (come l'incontro con la straordinariamente dolce e comprensiva attrice signora Kendall, che nella realtà non avvenne mai, poiché i due si limitarono ad una corrispondenza postale, e la promessa di una visita da parte della donna non avenne mai...), fanno tutte parte dell' ampia sfera delle relazioni, dei rapporti, col diverso in tutte le sue forme, anche se in questo film logicamente la prospettiva è posta a partire dall'esteriorità fisica.
Quanto appunto il diverso ci possa (più e meno in modo giustificato...) spaventare e imbarazzare per la sua diversità mostruosa.
Quanto poi col tempo , l'empatia, e chiave di tutto, la comunicazione e la conoscenza (quest'ultima in tutto e per tutto...) , ci si possa abituare all'orrendezza di un essere che comunque lo si voglia etichettare sarà sempre un umano. In definita il rispetto dell'altro e la consapevolezza della nostra fortuna in relazione alla diabolica sfortuna di pochi o molti altri. Quanto ancora si debba tutelare la diversità come valore imprescidibile nella società, tenendo di conto altresi i limiti antroplogici del singolo, non sempre adattabili, cercando di evitatare il conformismo a tutti costi (trappola in cui lo stesso protagonista incappa tragicamente alla fine, volendo provare a dormire normalmente come tutti con la testa china sul cuscino...). Non solo.
Il reale e vero valore intrinseco delle persone (questo è la lezione morale più banale da ravvisare nella pellicola...),ma anche il rovescio della medaglia della diversità: il suo insidioso potenzialmente elitario, esclusivo, sopratutto nel rischio della sua strumentalizzazione e banalizzazione da parte dei soliti ipocriti di turno (vedi la rincorsa alla scalata sociale della upperclass londinese che si serve di Merrick come plus per il loro tornaconto...). In definitivà il rischio della sua eccessiva esclusività.
Ispirato alla storia vera del povero John Merrick, il film diretto dall'allora quasi esordiente David Linch, fu candidato agli oscar del 1980 con ben 7 statuette, ma guarda caso non ne vinse neanche una (!!!).
Cast di Attori con la A maiuscola per questa pellicola, che fra quelle di Lynch è sicuramente una delle meno “fantastiche”: John Hurt nella parte di J. Merrick, Anthony Hopkins come il medico Treves, Anne Bancroft nella parte dell'attrice di teatro “signora Kendall”, e John Gielgul nella parte del severo ma saggio direttore del regio ospedale.
La regia di Lynch in questo film appare fra le più didascaliche e lineari di tutta la sua produzione, ben chiarendo però che l'aspetto visivo è curatissimo e magistralmente concepito: nel necessario e intelligente uso del bianco e nero, e negli inquietanti e malinconici flashback onirici del protagonista. Grande la fotografia, e logicamente superba la recitazione reale degli attori.
Un film che è un cazzotto in faccia alla società borghese, ma anche un commovente e meraviglioso inno alla vita e alla dignità e richezza nella totalità della diversità umana.
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