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7/10

1001 Grammi regia di Bent Hamer

Romantico
recensione di Eva Cabras

Marie lavora all'Istituto di Metrologia norvegese e affronta la fine della sua relazione tuffandosi nelle certezze della scienza. La sua esistenza monotona verrà spezzata da un congresso internazionale a Parigi, dove la protagonista di Bent Hamer riscopre l'importanza della leggerezza.

Marie vive e lavora in Norvegia, mettendo il suo rigore scientifico al servizio dell'Istituto di Metrologia nazionale. Tra le sue mansioni ci sono il controllo periodico di bilance, strumenti di misurazione e pompe di benzina, che occupano la maggior parte della sua giornata. Quando torna a casa ad accoglierla ci sono soltanto un paio di quadri alle pareti, un bicchiere di vino e un letto vuoto, abbandonato da un uomo che vediamo solo di sfuggita mentre si porta via uno a uno i propri mobili. La vita di Marie si snoda ripetitiva tra lavoro, pasti pronti e visite al padre, rimasto solo a gestire una fattoria sempre più impegnativa. L'amore paterno sembra anche l'unica emozione che riesce a scalfire la scorza della protagonista, altrimenti pressoché asettica, rigida e anaffettiva.

A scuotere la routine di Marie sarà il malore e la successiva morte del padre, che rinuncia al compito di rappresentare la Norvegia alla conferenza internazionale sul peso a Parigi, occasione in cui i prototipi delle varie nazioni vengono comparate al chilo assoluto per decretarne l'accuratezza. Il viaggio di Marie a Parigi assume, in maniera piuttosto prevedibile, la configurazione del viaggio interiore, duarante il quale un particolare incontro irrompe a dare nuova linfa a una pianta da tempo trascurata, per usare una metafora botanica che ben si sposa con l'impianto narrativo di 1001 Grammi. Spinta dal padre nel suo letto di morte, la scientifica Marie soppesa la propria vita affiancando l'emozione alla già ben nota razionalità e si lascia tentare dalla rilassata consapevolezza zen di Pi, ex fisico che ha scoperto nel giardinaggio la propria ancora di salvezza. Travolta dal cumulo di sensazioni che soffocava, Marie perde il controllo e finisce molto vicina a distruggere il prezioso prototipo del chilo svedese che non smette mai di portarsi a presso.

La donna piomba nel caos, ma la sua non è una caduta: il pericolo, la sfrontatezza, lo sprezzo delle regole permettono a Marie di spiccare un salvifico salto verso la propria umanità. Quando la cupola di vetro che custodisce il chilo si infrange, con lui va in pezzi la corazza protettiva che la protagonista aveva adottato per mettersi al riparo da ulteriori delusioni, lasciandola libera di tornare a far parte del genere umano. La regia di Bent Hamer si accompagna il processo di riscoperta della sua eroina scandinava con stile sobrio e rigoroso, limitando al minimo i movimenti di macchina. Predilette sono le inquadrature fisse e talvolta simmetriche, paladine di una prassi cinematografica dedita alla semplicità nella messa in scena e alle possibilità espressive del montaggio.

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