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6/10

Due Partite regia di Enzo Monteleone

Commedia
recensione di Alessandro Pascale

Negli anni ’60 quattro amiche si ritrovano ogni giovedì attorno a un tavolo per giocare a carte, sparlare di scandali e confidarsi reciprocamente sulle proprie vite cariche di problemi, frustrazioni e preoccupazioni. Quarant’anni dopo le loro figlie si ritrovano a confrontarsi nello stesso rito, radunate dall’evento infausto della morte di una delle quattro madri. Sarà un’occasione per fare il punto non solo sulle loro vite individuali ma anche sulla nuova generazione femminile, cresciuta a pane di femminismo ed emancipazione.

Si beh insomma diciamocelo subito: di stare per un’ora e mezza a sentire parlare quattro donne dei problemi della loro vita non è proprio il massimo della vita, ecco. Ciònonostante si può constatare che il rischio sbadiglio è stato scongiurato, e anzi, non poche volte ci si è ritrovati a ridere abbastanza di gusto, specie nella prima parte in cui l’incontro-scontro tra Ferrari, Buy, Massironi e Cortellesi scatena spesso scintille e piccoli choc più che godibili. A voler fare i pignoli bisognerebbe sottolineare lo spessore complessivo di Paola Cortellesi che per eleganza, bellezza, classe e capacità di interpretare il personaggio spicca nettamente sulle altre.

Ovvio che il tutto è facilitato da una prelibata (e probabilmente un tantino fittizia) ricostruzione di costumi e arredamenti talmente sgargianti e alla moda da formare in continuazione quadri  visivi vivacissimi. Eppure la raffinatezza dei dialoghi e del pudore più o meno velato con cui si parla di argomenti scottanti d’altri tempi si scontra con la sensazione che ci siano troppi luoghi comuni e troppe parole vaneggianti nell’aria. Un quadro statico e un tantino prolisso in definitiva, che non viene riscattato dalla seconda parte, nella quale il livello di nevrosi collettiva si alza notevolmente, a dimostrazione che a distanza di diversi decenni il maggior numero di diritti conquistato dalle donne non ha portato a una maggiore felicità, anzi per certi versi ha aumentato i doveri e le preoccupazioni.

Tra le quattro “giovani” di oggi emerge nettamente Claudia Pandolfi, mentre nonostante una certa bravura delle altre si ha l’impressione che il livello qualitativo dello star system femminile italiano più recente cali nettamente. Pesano anche ovviamente una serie di ruoli più scomodi e fastidiosi, come quello della Milillo che ripete ogni tre secondi che vuole avere un bambino senza riuscirci. Ok, lo dici una, massimo due volte, poi finisce lì. Alla terza diventa una pandemia femminile insopportabile.

La linearità narrativa viene spezzata da un breve cameo della Ferrari che legge la famosa poesia del marito fatta annusare per tutta la prima parte del film allo spettatore e recitata finalmente solo in conclusione. Un tocco di lirismo e patetismo che però francamente appare un tantino scontato e inutile. Esagerato appare anche il gioco di rimandi caratteriali che si trasmettono perfettamente tra madre e figlia, vuoi in una battuta ripetuta pari pari, vuoi in un’istintualità particolarmente caratteristica.

In definitiva Monteleone fa quello che può, cercando di spaziare il più possibile con la camera da presa tra campi e controcampi, carrelli e riprese a mano, ma è evidente che il materiale con cui deve lavorare (frutto di una rielaborazione di una commedia della Comencini) è stato pensato e predisposto non per il cinema ma per il teatro, così da rendere quanto meno svalutata la sua resa sul grande schermo.

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