A La Ninfomania Raccontata da Lars Von Trier

La Ninfomania Raccontata da Lars Von Trier

L'ultima opera di Lars Von Trier, il progetto Nymphomaniac, non potrà che scatenare grandi discussioni. Occorre fare una premessa di metodo: al momento della stesura del presente articolo il redattore ha visto soltanto i 110 minuti di Nymphomaniac Vol. 1. Mancano all'appello i 122 minuti del Vol. 2. Per un giudizio completo però occorre ricordare che la divisione dell'opera in due parti, ammontanti ad un totale di circa 4 ore, è stata realizzata con l'autorizzazione ma senza la collaborazione ed il contributo diretto del regista, il quale ha elaborato una versione originale di 5 ore e mezza. Comprensibile (anche se non molto giustificabile) che il circuito dell'industria culturale abbia azzoppato per ragioni commerciale l'opera dell'autore danese, il quale, evidentemente conscio di tali dinamiche, le ha altresì ritenute inevitabili.

Ad ogni modo, ci sono comunque abbastanza elementi per fare alcune valutazioni generali. Innanzitutto occorre sottolineare la profonda continuità con le opere precedenti di Von Trier, il quale continua a scandagliare il lato più “oscuro” dell'animo umano, proponendo una visuale puramente descrittiva a cui si affianca un dialogo tra due interlocutori opposti per giudizio morale e culturale. In questo caso la protagonista Joe, impersonata da Charlotte Gainsbourg, è paradossalmente la voce della morale puritana. Nonostante infatti sia la ninfomane rimasta priva di sensibilità emotiva e spregiudicata nei comportamenti sessuali e sociali, Joe è un personaggio che racconta la sua vita in maniera vergognosa, rievocando eventi biografici giudicati da lei stessa immorali e sconci. Non crede in Dio e non è religiosa, ma sente la propria vita come un peccato continuo.

La contraddizione di introdurre un concetto religioso in una filosofia sostanzialmente atea viene fatta emergere dal mite Seligman, alias Stellan Skarsgard, rassicurante figura “scientifica” e laica che rifiuta anch'egli le categorie religiose e puritane nel valutare il comportamento sfrenato di Joe, scegliendo piuttosto di accostarlo al mondo della fisicità e dell'arte, restituendolo così in una dimensione di “naturalità” spiazzante per lo stesso spettatore (e che è il vero valore aggiunto originale dell'opera). Manca (per lo meno in questa prima parte) un verdetto o un giudice che emetta una sentenza, prevalendo piuttosto una relativizzazione assoluta di una storia a tratti morbosa, talvolta eccitante, senz'altro non priva di spunti grotteschi, ma che appare in tutta la sua volontà di rendere la complessità della “commedia umana” contemporanea.

Una “commedia umana” dominata dal sesso chiaramente (e pare di sentire i mugolii di approvazione di Freud), eppure raccontata senza scadere nella volgarità o nella mera pornografia, come qualcuno si sarebbe aspettato. Lars Von Trier sembra voler continuare a spiegare perché esistano certi comportamenti ritenuti “deviati” dal costume, dalla morale e dalle leggi, ossia da tutte quelle sovrastrutture costruite socialmente e poggianti su ideologie e culture nate in contesti storici ben determinati. Così aveva fatto d'altronde in Dogville per spiegare come a volte per fare il “bene” sia necessaria estirpare il “male” con la forza. Così aveva fatto soprattutto nelle ultime opere Antichrist e Melancholia, sostenendo narrazioni distanti dal senso comune eppure non sempre così lontane dalla verità coincidente con la realtà effettiva dei fatti. Raccontare la ninfomania in questa maniera non può che fare delle bene alle menti intorpidite, morbose e ciononostante sempre sottotraccia cattolicheggianti degli italiani.

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