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7/10

Una Vita regia di Stéphane Brizé

Drammatico
recensione di Valeria Verbaro

Normandia, 1819. Jeanne, una giovane donna aristocratica termina gli studi e si prepara a una nuova vita, decidendo di sposare Julien de Lamare, nobile decaduto di cui è platonicamente innamorata. Mentre Julien si rivela avido ed egoista, oltre che un marito infedele, Jeanne ripone ogni suo sentimento verso il figlio Paul, ma  anch'egli crescendo si rivelerà più interessato al denaro che all'affetto della madre.

Film dall'anima moderna, nonostante l'ambientazione ottocentesca, Una vita - adattamento cinematografico del primo romanzo di Guy de Maupassant - è una lirica universale, un racconto di sentimenti prima che di vicende. Interamente narrato dal punto di vista della protagonista Jeanne (Judith Chemla), l'opera di Stéphane Brizé, si contraddistingue innanzitutto per la scelta del formato 1.33:1, quasi quadrato, ormai in disuso nel cinema contemporaneo ma necessario a creare la sensazione di costrizione e asfissia che caratterizza la vita della donna, rinchiusa in uno spazio mentale da cui è impossibile fuggire, persino di fronte a spazi aperti e vasti come le campagne e le scogliere della Normandia, dove il film è ambientato.

Nulla, infatti, avviene al di fuori dello sguardo di Jeanne e nulla è comprensibile al di fuori della sua visione , pura e ingenua, del mondo. È presto chiaro allo spettatore, dunque, che ogni dettaglio del racconto e della messa in scena è strettamente connesso alle sensazioni e ai pensieri della protagonista, in primo luogo la complessa struttura cronologica. Infatti, al ciclo delle quattro stagioni che si ripete costantemente per sottolineare lo scorrere incessante del tempo, si alternano bruscamente numerosi flashback e flashforward direttamente riconducibili alla percezione soggettiva del tempo stesso. I primi richiamano la felice giovinezza di Jeanne, da cui il film propriamente inizia; i secondi, invece, anticipano i momenti bui e infelici della sua esistenza, spesso interrompendo l'idillio diegetico attraverso repentini mutamenti di atmosfera e luce. I flashback, di conseguenza, sono caratterizzati da toni caldi e brillanti, come illuminati da un tiepido sole di tarda estate; i flashforward sono invece prevalentemente grigi, spenti, cupi, poiché anticipano la depressione e la solitudine di Jeanne nella vita coniugale.

Dal punto di vista formale, ancora, appare molto evidente, sin dalla prima inquadratura, l'uso deliberato e consapevole della camera a mano che dà a Brizé la possibilità di tramettere meglio ogni vibrazione, ogni respiro, ogni segno di vita di Jeanne; anche quando quest'ultima sembra lasciarsi andare e perdere ogni interesse verso la vita stessa. Le lunghe e silenziose inquadrature in cui la donna si perde dentro un pensiero, in una gioia o dentro un profondo dolore sono esempi raffinatissimi di come e quanto il Cinema sia in grado di comunicare l'animo umano, mentre il tremolio incessante dell'inquadratura, in questo caso, conferisce un valore aggiunto, simboleggiando un'impossibile immobilità dell'anima, nonostante tutto. "Né bella né brutta", ciò che viene narrato nel film è semplicemente la Vita, nel suo flusso incessante e inafferrabile e nelle sue contraddizioni interne; il tutto attraverso delle immagini che a tratti diventano veri e propri tableaux vivants, imponendosi all'attenzione dello spettatore per la loro ricercata ed equilibrata composizione.

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