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7/10

Bellamy regia di Claude Chabrol

Poliziesco
recensione di Francesco Carabelli

L'ispettore Bellamy, famoso in tutta Francia per i suoi romanzi, è in vacanza con la moglie al su dell'Esagono. Un uomo lo fa partecipe delle sue confidenze relative ad un omicidio. L'ispettore inizia le sue  indagini fino a che la verità avrà il suo corso....

Ultimo film di Claude Chabrol, è dedicato a Georges Simenon, alle cui  storie (commissario Maigret) le vicende narrate nella pellicola si ispirano, e Georges Brassens, cantante citato più volte nel corso della narrazione (il cimitero dove è sepolto è un luogo topico delle vicende narrate). Di Simenon Chabrol riprende la figura dell’investigatore integerrimo, pronto ad indagare in ogni occasione (anche quando è in vacanza), ma capace di coinvolgere lo spettatore per quella sua umanità (resa qui molto bene da Gérard Depardieu) che lo rende simpatico e vicino allo spettatore medio con le sue piccole difficoltà familiari (il rapporto di amore- odio con il fratello che si concluderà tragicamente, il rapporto di amore e passione con la moglie caratterizzato dalla fedeltà di contro alle infedeltà che propone la vita).

Certo le vicende narrate sono aggiornate rispetto a quelle di Simenon: abbiamo la coppia gay, si parla di eutanasia (purtroppo in modo semplicistico); ma rimane nell’impianto di fondo la figura dell’ispettore Maigret solo parzialmente rimaneggiata per renderla più consona alle vicende contemporanee. Chabrol si diverte a tendere fili che legano le vicende come solo i maestri del cinema (tra tutti Hitchcock, maestro del regista francese) sanno fare, particolari che sembrano insignificanti, ma che rendono più realistica la narrazione, anche se talvolta l’inventiva del regista supera la realtà, ad esempio laddove crea il personaggio di un avvocato che canta la sua difesa, con parole e musica di Brassens. Bellamy è in vacanza con la moglie nei pressi di Nimes, ma non riesce a stare fermo nonostante i tentativi della moglie di rendergli piacevole il soggiorno.

Un uomo si presenta alla sua villa alla ricerca di una persona fidata con cui confidarsi, in quanto coinvolto in un omicidio. Scopriremo la doppia vita dell’uomo e l’uso di un barbone quale sosia, per sbarazzarsi del suo passato e truffare l’assicurazione per cui lavora. Il tentativo purtroppo sarà vano perché l’assicurazione scoprirà il raggiro e l’uomo resterà solo, senza moglie e senza amante e con un nuovo viso e una nuova identità che lo rendono irriconoscibile. Il finale sembra rimescolare le carte in tavola, ma si presenta sorprendentemente non amaro, anzi fortemente surreale, al limite della comprensione. I personaggi, seppur ben delineati , non riescono a coinvolgere in toto lo spettatore per quell’aura romanzesca che li allontana in qualche modo dalla nostra realtà.

Nel complesso buona prova degli attori e buona regia che non ci riserva colpi di scena, ma che viaggia sicura e spedita senza sbavature affidandosi alle mani sapienti del regista transalpino e dei suoi validi collaboratori. Rimane quella pungente critica chabroliana alle istituzioni, pur nella condivisione dei valori borghesi. L’opera chiude la filmografia di un regista molto prolifico, ma con poca fortuna in alcuni periodi della sua vita, nei quali ha trovato difficoltà a farsi produrre. Le ultime opere, seppur meno ricercate, hanno trovato un buon riscontro di pubblico che ha permesso a Chabrol di continuare con più fiducia nel suo lavoro, al quale ha messo fine la sua morte lo scorso 12 settembre.

Il film si conclude con una frase dello scrittore britannico  W.H. Auden : “C’è sempre un’altra storia, c’è più di quello che si mostra all’occhio” che ha un duplice significato, ossia un significato legato alla produzione romanzesca nella quale le storie si legano, come nella vita una all’altra e si influenzano tra di loro magari anche in modo invisibile, e un significato metacinematografico ossia ciò che l’occhio cinematografico mostra non è tutto ciò che effettivamente avviene nella realtà;  lo spettatore deve in modo critico ricostruire i retroscena, rendendosi conto della finzione di quanto presentato e della verità che ne sta alle spalle: lo spirito, la vita è molto più di quello che può essere rappresentato.

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