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8/10

La Signora della Porta Accanto regia di Francois Truffaut

Drammatico
recensione di Valerio Zoppellaro

Bernard e Mathilde si ritrovano come vicini di casa otto anni dopo essere stati amanti, entrambi “felicemente sposati”. Il fuoco inevitabilmente si riaccende.. con effetti devastanti.

La Signora della porta accanto pur non trattandosi di una delle opere di Francois Truffaut  più premiate, è un titolo entrato nel gergo comune.

Il film è la descrizione dell’ intreccio amoroso/distruttivo che coinvolge Mathilde e Bernard, facendo emergere le parti più oscure ed inquietanti dei due protagonisti. Il personaggio di Bernard è molto attuale per la violenza repressa e per la capacità di auto reprimersi che lo porta a rimanere in quella soglia che lo fa rientrare nella presunta normalità sociale. Dopo lo scatto d’ ira seguente all’ annuncio di viaggio di nozze di Mathilde, infatti, Bernard mette in atto una corazza emotiva che gli permette di andare a trovare in clinica la vecchia amante e di nascondere tutta la sua carica aggressiva e repressiva dietro lo specchio della cordialità. Da questo punto di vista è interessante anche il personaggio della moglie di Bernard, Arlette, vera e propria rappresentazione di donna media e sottomessa, incapace di affrontare di petto una questione e in grado esclusivamente di vivere la propria esistenza dal punto di vista del proprio micro cosmo privilegiato. La vera protagonista dell’ opera però è Mathilde, e se si vuole il film  può essere visto come una descrizione del crollo di una donna fragile, che pur partita con le migliori intenzioni di riscatto, si trova a che fare con il riaffiorare di un passato che incombe sottoforma delle proprie passioni. Nel suo amore masochista Mathilde ricorda la protagonista di Adele H.  una storia d’ amore interpretata da Isabelle Adjani quattro anni prima.  Si dice, con grande banalità, che l’ amore non è razionalità e questo film ci mostra come l’ attrazione vada oltre le ambizioni e l’ etica. In clinica Mathilde accusa a ragione l’ impeccabile marito Philippe e il medico di non comprenderla.. “Mi dicono di voltare pagina.. ma non si accorgono che questa pagina pesa cento chili”. Mathilde comprende che non sarà in grado di essere una donna comune come Arlette  o come Odile Jouve, che pur in modo traumatico, era riuscita a ritrovare un equilibrio. Il suo unico riscatto sarà uccidere l’ amante nel momento di piacere estremo a dimostrare come l’ amore assoluto tra i due protagonisti non poteva essere di questa vita.  “Né con te, né senza di te”, come dirà la narratrice a fine opera.

Francois Truffaut è uno dei più grandi artisti creativi della macchina da presa e anche in quest’ opera utilizza alcuni pretesti narrativi  originali, come far raccontare la storia da una signora che per amore aveva deciso di uccidersi e si era salvata solo per caso. Geniale il dialogo iniziale di Odile Jouve con la macchina da presa e notevole il ritmo incessante scelto dal regista che rende appassionante la vicenda. Il sottile fascino di Fanny Ardant illumina l’ opera per tutto il film e, anche se visto oggi alcuni aspetti possano sembrare inevitabilmente un po’ datati, questa storia di amore hitchockiano risulta ancora assolutamente gradevole e ricca di spunti di riflessione.

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