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8/10

Gli Amori Folli regia di Alain Resnais

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Un giorno Marguerite viene scippata per strada della borsa. All'interno ci è il portafogli che verrà recuperato per caso da Georges, che decide di voler conoscere la donna iniziando a mandarle lettere e farle telefonate ogni giorno. Una visita della polizia gli imporrà di darci un freno ma a quel punto sarà Marguerite che con un'inattesa svolta si darà da fare per incontrarlo...

 

Ah poter arrivare a 90 anni e riuscire ancora a prendere tutti bellamente per il culo… Non sarebbe male davvero… E riuscire poi a farlo con una classe, una freschezza, e un linguaggio così sregolato, dinamico e innovativo poi, sembra quasi un’utopia. E invece Alain Resnais è riuscito in questo piccolo miracolo, sfornando un gioiellino che parte da un registro drammatico sentimentale per toccare stili e formule più svariati: dal giallo al grottesco, passando per abbozzi comici, un surreale non-sense e formule Nouvelle Vague da terzo millennio.

È così, ci sono certi registi che non invecchiano mai, e a distanza di mezzo secolo dal proprio primo capolavoro (Hiroshima Mon Amour data 1959!) continuano a stupire con film sorprendenti pienamente inseriti nel contesto post-moderno, ma in una maniera a suo modo del tutto contro-corrente rispetto ad altri autori. A trionfare ne Gli amori folli non è la storia in sé, ma quello che la storia nasconde o tralascia. In una parola ad accattivare lo spettatore tenendo alta la tensione è tutta quella trafila di piccoli misteri e segreti introdotti qua e là in maniera sapiente dall’autore, il quale però si guarda bene dal rivelarli tutti, lasciando anzi più dubbi e questioni aperte che risposte.

Il maggiore mistero riguarda ovviamente il personaggio di Georges Palet (impersonato da un eccellente André Dussollier), uomo di mezz’età dal passato ignoto ma senz’altro caratterizzato da qualche guaio (forse giudiziario?) di troppo. Le continue incertezze sentimentali e i complessi ritratti psicologici di tutti i personaggi fanno pensare ad un intreccio tra un Woody Allen particolarmente impregnato di Ingmar Bergman, ed un pizzico di quell’irrealtà un po’ assurda tipica di un maestro come Marco Ferreri.

L’estetica però è ancora pienamente debitrice del primo cinema Nouvelle Vague, da cui si riprende non solo l’interesse tematico per le storie amorose “particolari”, ma anche tutti quegli artifizi tecnici che si trovavano ad esempio in film come Tirate sul pianista (di Truffaut). La complessità però non finisce qua, perché subentrano elementi di classicità (come definire altrimenti la scelta di raccontare lo svolgimento degli eventi con un narratore esterno onnisciente?) e modernità virtuosa (le pirotecniche escursioni di una camera a mano svolazzante come quasi il miglior Scorsese).

E poi il finale, che ti piazza prima un elemento comico che non c’entra nulla (tale la chiusura lampo di Palet che non si chiude) e poi una scena assurda che sembra uno sfottò ai consumisti di cinema hollywoodiano. Una volta Resnais faceva parte della Rive Gauche (la parte più politicizzata della Nouvelle Vague). Oggi è un vecchio anarchico che si toglie qualche sfizio prendendoci tutti per il culo. In ogni caso un grande, e bisogna ammettere che lo fa con una grandissima classe.

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