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6/10

Joy regia di David O. Russell

Biografico
recensione di Alessandro Pascale

Il film, ispirato alla vera storia di Joy Mangano, racconta le vicende di giovane madre di due figli e divorziata che vive una vita stressante per la quale ha rinunciato a tutti i suoi sogni e ambizioni di inventrice. Fino al giorno in cui capisce di non poter più continuare così e decide di tentare l'avventura facendosi imprenditrice di sé stessa. Contro tutti e tutti, la sua famiglia compresa.

David O. Russell è uno dei registi di maggiore successo degli ultimi anni: ben tre candidature ai premi Oscar come miglior regista in quattro anni (2010-2013) per film come The Fighter, Il Lato Positivo, American Hustle. Dopo aver portato a termine il travagliato progetto di Accidental Love, prosegue qui direttamente la sua vena autoriale con Joy, film ispirato alla storia vera di Joy Mangano, l'inventrice di quello che comunemente chiamiamo mocio, grazie al quale divenne milionaria. Nel film l'inventrice e imprenditrice è impersonata da Jennifer Lawrence, altra star del cinema attuale, grazie ad una serie di ruoli (tra cui la serie di Hunger Games) che l'hanno resa famosa in tutto il mondo, riuscendo ad ottenere il premio Oscar come miglior attrice protagonista per il ruolo ne Il Lato Positivo. Diciamo subito che anche in quest'opera la Lawrence conferma di essere un'attrice straordinaria, con una prova che le ha già meritato un'altra nomination agli Oscar, grazie ad una prestazione straordinaria: mostra infatti in maniera esemplare il percorso di una normale casalinga stressata e squattrinata, con le sue paure, ansie e frustrazioni, ma anche la sua capacità di affrontare le delusioni e le sconfitte in maniera umana, sia cadendo nella disperazione più nera, sia ritrovando una fredda determinazione e voglia di lottare che la rendono un personaggio senza dubbio esemplare per ogni donna che non intenda rassegnarsi ad un'esistenza quotidiana fatta di sostanziale semi-schiavitù. Ad accompagnarla sulla scena è un cast di tutto rispetto, che vede in testa Robert De Niro e Bradley Cooper: il primo nei panni del padre pedante, burrascoso, brontolone e un po' stronzo (a dirla con parole chiare); il secondo nel ruolo del manager di successo visionario e affascinante, capace di ammaliare Joy con le sue promesse di ricchezza. Entrambi aggiungono rispettivamente alla prima e alla seconda parte dell'opera quel pizzico di pepe che non guasta, accompagnati da altri personaggi (tra cui quello della madre perennemente a letto a guardare soap opera, di stampo alla Wes Anderson) che fanno la loro buona figura.

Se il cast è adeguato il problema vero si pone con il soggetto e il fine ultimo di Russell, il quale inizia bene mettendo in scena una commedia dai ritmi serrati memore della lezione di Woody Allen, ma che progressivamente sembra perdersi, mettendo troppa carne al fuoco, giocando troppo tra registri stilistici diversi: dal tragico al grottesco, dall'avventura al post-western. Pesa anche il messaggio ideologico del film: non solo la storia di successo di una donna che ha ingegno e forza di volontà, ma più complessivamente quasi la nostalgia di un mondo perduto che si vorrebbe riproporre: quello della rampante epoca reaganiana dove ancora si propagandava il mito-sogno dell'American dream. Se ce la fa una casalinga ce la può fare chiunque, contro tutto e contro tutti, anche contro la famiglia e gli affetti più chiari, anche contro gli speculatori e gli affaristi senza scrupoli. Anche a livello stilistico la seconda parte dell'opera perde brio: nel suo rappresentare l'ascesa sociale di Joy, pur irta di ostacoli, si appesantisce e si appiattisce, smarrendo quei tanti buoni spunti avviati nella parte iniziale. Rimane la sensazione di un'opera incompiuta, o meglio conclusa male, in maniera banale e ridondante. Rimane la splendida prestazione di Jennifer Lawrence e una serie di ritratti e momenti frizzanti nella parte iniziale. Complessivamente però un'occasione persa.

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