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7/10

Tony Manero regia di Pablo Larrain

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Un uomo totalmente ossessionato dal film La febbre del sabato sera trova le uniche consolazioni nel travestirsi nel suo protagonista Tony Manero. Lo sfondo è quello del Cile disastrato degli anni '70 sotto la dittatura di Pinochet.

Ci sono diversi gradi di lettura del film Tony Manero, perla confezionata dal promettente Pablo Larraìn. Ma prima di tutto c’è un’idea inequivabile e irrevocabile: che il protagonista è uno degli stronzi più meravigliosi mai apparsi su uno schermo cinematografico. Probabilmente il vero mito menefreghista e maledetto che sarebbe stato degno di rappresentare gli scritti bukowskiani (al contrario del troppo compassato Matt Dillon in quel Factotum di qualche anno fa), anche se l’insensata violenza con cui tale personaggio si muove quotidianamente esula perfino dagli eccessi del grande scrittore americano.

Una violenza fisica, mentale, emotiva e spirituale che per gratuità, indifferenza e spietatezza raggiunge uno strato grottesco davvero notevole. Perché non si tratta di una violenza perpetuata a fini ideologici (come compare invece qua e là sullo sfondo storico del Cile di Pinochet), né tantomeno una violenza compiuta per puro gusto del male (sullo stile ad esempio di Arancia Meccanica), quanto piuttosto di una violenza spietatamente determinata dai propri egocentrici desideri individuali.

Desideri che non sono né nobili e raffinati ma che non sono condannabili neanche come immorali e insani. Semplicemente appaiono drammaticamente surreali eppure spiegabilissimi con la realtà sociale del tempo. Di cosa stiamo parlando? Di un uomo che pone come unica ragione della propria vita la volontà di apparire, coincidere e addirittura “essere” ontologicamente coincidente con il personaggio Tony Manero, quel mito creato ad arte da John Travolta trent’anni fa ne La febbre del sabato sera. Un’unione che diventa mistica e che va a colpire chiunque metta in dubbio la veridicità e la sacralità di tale affermazione.

È questa la via che conduce a uno dei personaggi più disturbati mai visti al cinema, incapace di intrattenere una vita normale, di avere amici, relazioni sessuali stabili, uno straccio minimo di lavoro né tantomeno una parvenza di etica e responsabilità verso gli altri. Un uomo che vive alla giornata parlando e vivendo poco, trovando i pochi attimi di gioia nella realizzazione di quella identità mistica di cui si è parlato sopra.

Da qui si potrebbe allora partire con i diversi gradi di lettura del film: estremizzazione di un mondo di star, consumistico e identitario, in grado di far “ammalare” un individuo della periferia del terzo mondo di “pop art” fino a farlo uscire dalla realtà; perdita di ogni senso di savoir vivre dovuta alla brutalizzazione di un paese catapultato negli orrori più atroci dalla dittatura di Pinochet, un regime che pur di individuare alcuni poveri ingenui sinistroidi con i loro volantini si dimostra incapace (o forse se ne disinteressa) di fermare ogni tipo di delitto che non sia squisitamente politico; messa in evidenza del nesso tra degrado socio-economico (i quartieri dimenticati da Dio della vicenda) e desolazione individuale; allegoria di un personaggio-paese-cultura che di fronte alla globalizzazione e all’influenza culturale e politica americana viene catapultato in un “orrore” conradiano naturalizzato e elevato a sistema.

E volendo si potrebbe anche continuare perché pensandoci un po’ su Tony Manero è un film che presenta un sottotesto davvero ricco e cospicuo. Si può capire allora perché il film sia piaciuto tanto a Nanni Moretti che lo ha consacrato vincitore del Festival di Torino nel 2008. A uno come lui che tanto esalta la diversità e la schizofrenia non poteva non far gola un’opera così politica e sociologica. E in effetti anche noi facciamo davvero fatica a trovare punti deboli in un film del genere. Perfino la scarsa qualità video appare perfettamente aderente al contesto narrativo. Così come la regia nuda e cruda di un Larrain che non esita a mostrare falli e fellatio in maniera prolungata e depravata, cercando di calare fino in fondo nella mentalità instabile del protagonista. Una bella scoperta questo Larrain insomma, sperando non si perda per strada…

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 3 voti.
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alexmn 5/10

C Commenti

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misterlonely (ha votato 8 questo film) alle 21:48 del 9 maggio 2013 ha scritto:

Un film potentissimo con un grandissimo Alfredo Castro. Fu una sorpresa a Torino nel 2008, oggi dopo Post Mortem e NO vale la pena recuperarlo per rendersi conto del valore di uno dei giovani registi più importanti dei nostri tempi.