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6/10

Il Grande Sogno regia di Michele Placido

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Nicola è un giovane poliziotto appassionato di recitazione; Laura una brava ragazza di estrazione cattolica che prende parte alla contestazione e alle marce per la pace; Libero, operaio della Fiat di Torino. Il personaggio di Nicola è ispirato alla gioventù di Michele Placido che si trasferì a Roma dalla Puglia per diventare attore e che per guadagnarsi da vivere entrò nel corpo della Polizia prima di frequentare l'Accademia di arte drammatica.

Accompagnato dal solito vespaio di polemiche che emergono non appena si faccia un film appena lontanamente “di sinistra” Il grande sogno porta avanti il percorso di riscoperta storica avviato da Michele Placido nel precedente Romanzo Criminale. A differenza di questo però, vera e propria pietra miliare del cinema italiano contemporaneo per la sua capacità narrativa di ampio respiro, Il grande sogno appare un’opera non altrettanto riuscita.

Ci sono, è vero, accattivanti ritratti corali idealistici di quella superba stagione che fu la contestazione studentesca del ’68. C’è un sacco di rosso, di bei discorsi politicizzati, di storie personali realistiche in cui si intrecciano vicende private e forti prese di coscienza politiche. C’è l’incontro-scontro tra il giovane pacifista desideroso di un’altra società (completamente alternativa, sia chiaro) e i modelli familiari patriarcali, autoritari e repressivi di una generazione troppo distante per comprendere le necessità dei propri figli. C’è la polizia, le botte, i manganelli che volano senza pietà, un ritratto fugace di un’istituzione statale militaresca in cui le idee e la cultura sono bandite (salvo quando siano innocue o al servizio dell’ordine vigente, vedi il Manzoni patriottico recitato dal pulotto Orlando).

Ma soprattutto c’è il solito classico triangolo amoroso, che diventa presto il vero motore attorno a cui sembra ruotare la storia, e che anzi pare strettamente intrecciato metaforicamente con il processo storico della protesta. Solo in parte le vicende amorose sono determinate dalla volontà di rappresentare la rivoluzione dei costumi (sessuali innanzi tutto), conseguenza obbligata del boom economico avvenuto negli anni ’60. Poco importa che questo triangolo mostri in sé le conseguenze di un intendere il rapporto di coppia in maniera liquida (per dirla in termini baumaniani), con la volontà precisa di rifiutare il modello familiare borghese a favore di una maggiore libertà sentimentale e sessuale. Una libertà in cui i conflitti melodrammatici vengono smorzati e ridotti al minimo, e diventano più che altro conseguenza di rivelazioni politiche-sociali sconvolgenti (vedi la “scoperta” della vera professione di Scamarcio).

La domanda vera è: dove va a parare infatti la storia di Placido? Nella precisa scelta di proclamare con largo anticipo sui tempi storici reali le contraddizioni e gli errori compiuti dal movimento studentesco ribelle. La scelta della lotta armata e del terrorismo sono fenomeni conseguenti al ’68, è vero, ma in tempi molto più lunghi di quelli qui delineati. L’idea che emerge invece è quella di una colpevolizzazione eccessiva del movimento, nonché di una esagerata focalizzazione su un ristretto nucleo di personaggi che non rappresentano realmente il ’68 giovanile, assai meno violento di come viene qui descritto.

L’operazione di Placido è senz’altro dettata dalla necessità di rendere più appetibile la storia, infarcita così di una drammatizzazione dal sapore tragico confacente ad una maggiore spettacolarizzazione del racconto. Utile insomma per raggiungere un pubblico più ampio, che vada oltre quello interessato alle questioni politiche e ideologiche. Questa “apertura” sarebbe stata positiva e utile se usata nei termini giusti, tesi a evidenziare più i meriti che i demeriti del ’68. L’impressione di fondo è che Placido abbia sbagliato movimento ed epoca: più adatto sarebbe stato a questo punto prendere in esame la rivolta del ’77, quella sì dalle conseguenze immediate assai più tragiche e violente.

Paradossalmente invece il nostro cinema vanta un capolavoro come Paz! che tende a idealizzare il ’77 e un film poco più che mediocre come Il grande sogno che di fatto falsa in chiave pessimistica il ’68, mostrandone per altro poco altro che un grumo di luoghi comuni. Il paragone con The Dreamers di Bertolucci è lecito, vista la stessa struttura del triangolo amoroso e lo stesso contesto storico preso in esame (seppur con diversità geografiche) ma appare evidente la differenza di fondo nel momento in cui diventa chiaro che Bertolucci con il suo film idealizzò e legittimò il cambiamento cultural-sociale del ’68, pur trattando i temi politici di rivolta con altrettanta approssimazione.

La conclusione dell’opera pare rafforzare questa interpretazione: i personaggi positivi del film sono l’incantevole e bravissima Yasmine Trinca e l’altrettanto valido Scamarcio (che sempre più si mostra attore di livello notevole). Ma a cosa è dovuto questo status di positività? Per la studentessa dalla sua moderazione, debitrice di un’origine identitaria cattolica progressista, che la porta al ripiegamento verso l’intimità familiare e alla gioia della maternità. Il secondo verso un allontanamento dalle istituzioni repressive a favore dell’immersione nel mondo della cultura e dell’arte. La politica scompare. Ma questo succede negli anni ’80, non nei ’70.

E allora si rafforza l’impressione che le cose siano due: o Placido ha sbagliato decennio (il ’68 invece del ’77) o la sua è un’operazione strutturalmente sbagliata, tesa a indebolire un ideale già bombardato quotidianamente da tutte le parti. E francamente non sentivamo il bisogno di un racconto di questo tipo, assai poco costruttivo e dedito a rafforzare il qualunquismo ideologico e il disimpegno politico della società in cui viviamo.

V Voti

Voto degli utenti: 4,3/10 in media su 3 voti.

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Marco_Biasio (ha votato 3 questo film) alle 22:54 del 2 febbraio 2010 ha scritto:

Ho letto la recensione che ne dà "Cineforum" e mi sento di condividerla, ancora una volta, pezzo per pezzo. Un'orripilante, melassosa, buonista autobiografia spacciata per ritratto (?) generazionale.

Peasyfloyd, autore, alle 23:13 del 2 febbraio 2010 ha scritto:

insomma sono stato troppo buono...

dalvans (ha votato 3 questo film) alle 11:48 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Brutto

Banale

maupes (ha votato 5 questo film) alle 14:49 del 25 novembre 2011 ha scritto:

Purtroppo nel caso di ‘Il Grande Sogno’ si finisce per mal intendere gli obiettivi dell’autore associando il film, in un eccesso di aspettative, al significato ed il rilievo della contestazione sessantottina quando invece si tratta di una storia minimale, un triangolo amoroso che solo per caso si svolge in quel periodo e questa ambiguità di fondo lede inevitabilmente la qualità stessa ed il giudizio complessivo sull’opera. In tal modo risulta ancora più evidente il contrasto davvero eccessivo fra la portata di quegli anni che vengono affrontati in maniera velleitaria ed il dettaglio rappresentato dal poliziotto infiltrato che sembra quasi capitato dentro quella sorta di polveriera per caso e controvoglia. Il quale si scuote dal torpore e dall’incomprensione degli avvenimenti che gli stanno accadendo intorno soltanto con l’obiettivo di proteggere Laura (della quale si è invaghito nel frattempo) dai rischi che corre rimanendo in quel posto ed esponendosi in prima persona. Purtroppo sia nella riproposizione dei giorni della contestazione che a proposito delle vicende familiari e sentimentali di Laura ed i suoi due grandi amori Nicola e Libero manca un elemento fondamentale: l’emozione. Il film non prende insomma, non coinvolge, non appassiona, pur svolgendo diligentemente il suo compitino. Manca il pathos nella parte sentimentale e familiare e l’approfondimento sui temi della rivolta giovanile, come una coperta che resta troppo corta da entrambi i lati. Niente a che vedere con la lucidità storica e critica di ‘La Meglio Gioventù’ di Marco Tullio Giordana che è invece un capolavoro di sintesi e di analisi familiare applicata al dopoguerra in Italia, pur trattando un periodo ben più ampio rispetto al film di Michele Placido. Quest'ultimo è un grande attore ma come regista, s’era già visto in ‘Romanzo Criminale’, tende purtroppo all’eccesso, al voler mettere troppa carne al fuoco senza avere, per rimanere in metafora, la capacità poi di cucinarla con i dovuti tempi e modi scegliendo gli ingredienti più adatti. Molto brava comunque Jasmine Trinca. Ottima ed esaustiva la tua disamina Alessandro.

Peasyfloyd, autore, alle 14:58 del 25 novembre 2011 ha scritto:

si condivido l'articolato commento Maurizio. Tranne però che nel giudizio su Romanzo Criminale, che trovo uno dei migliori film italiani del decennio appena trascorso.

maupes (ha votato 5 questo film) alle 15:35 del 25 novembre 2011 ha scritto:

Sicuramente 'Romanzo Criminale' (mi accorgo solo ora oltretutto che nessuno l'ha ancora recensito) è di gran lunga migliore di 'Il Grande Sogno', su questo non c'è dubbio alcuno. Sul fatto che sia uno dei migliori risultati del cinema italiano dell'ultimo decennio invece qualche dubbio ce l'ho. A suo tempo, quando l'avevo visto, avevo scritto, fra l'altro (tranquillo, ti risparmio l'intera sbrodolata): ‘Romanzo criminale’ è un film che merita alcune considerazioni, perchè mette sul piatto della bilancia molti argomenti, forse troppi, ma è sempre meglio che pochi o nessuno. Nella visione di Michele Placido, che mostra di aver imparato bene la lezione dai classici americani sullo stile delle riprese, dietro le figure della banda della Magliana c’era molto di più di un gruppo di ragazzini diventati uomini e criminali troppo presto, per non essere costretti, come dice ‘Il Freddo’ ad un certo punto, a timbrare il cartellino tutti i giorni. Una vita spericolata che ha fatto epoca nella Roma di quegli anni, a leggere le cronache del tempo, destinata a finire male, ma che è andata molto più in là di quello che i protagonisti stessi volevano e ritenevano che fosse possibile, pur esaltati, come ‘Il Libanese’, dalla volontà di prendersi Roma per potersi arditamente paragonare agli Imperatori Romani. Implicazioni con la mafia, i servizi deviati dello stato, la strage di Bologna, il delitto Moro, l’attentato al Papa. Michele Placido ci mette tutto dentro, senza poter provare niente, ovviamente, ma facendo intendere chiaramente che i sospetti sono tanti, così come la nebbia che li ha generati e soprattutto i cosiddetti mandanti, che sono dietro le spalle del Grande Vecchio che appare nel film: niente altro che l’anello di una catena che non porta a rivelare però chi la manovra. Forse l’autore ha voluto rendere eccessivamente ambizioso il suo film e spingersi troppo in là riguardo le implicazioni fra una criminalità nata dal nulla come quella della banda della Magliana ed i tanti, troppi misteri e tragedie di quegli anni, ma è un difetto per eccesso.

alexmn (ha votato 5 questo film) alle 15:37 del 25 novembre 2011 ha scritto:

concordo anch'io con maurizio..il film non funziona soprattutto per le aspettative che si portava dietro. andai al cinema aspettandomi un spaccato forte di quegli anni e ne uscii deluso. a parte poche scene di notevole impatto, il resto è poco coinvolgente e spesso superficiale...carenze a livello di scrittura a parte, credo che placido si sia perso via in una vicenda a lui molto/troppo vicina. personalmente romanzo criminale e vallanzasca sono su un altro livello, soprattutto il primo...tra l'altro anche la serie tv non scherza come qualità!