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8/10

Io e Te regia di Bernardo Bertolucci

Drammatico
recensione di Stefano Oddi

Lorenzo è un quattordicenne introverso che vive con difficoltà i rapporti con i genitori e con i compagni di scuola. Fingendo di partire per la settimana bianca organizzata proprio dalla scuola, si barrica in cantina, isolato da tutto e tutti. Irrompe però nel suo nascondiglio segreto la sorellastra, una ragazza ribelle di venticinque anni che Lorenzo conosce appena. Ne nasce una convivenza forzata fatta di litigi, discussioni, gelosie che portano entrambi a rimettersi in discussione.

Dopo nove anni di silenzio artistico, Bernardo Bertolucci torna al grande schermo con Io e te, un'opera intensa e personalissima, una pellicola profondamente organica all'universo di sogni, temi ed ossessioni che il Maestro parmense ha saputo creare attraverso quarant'anni di carriera.

Paradossalmente questo film intimo e privato nasce da un'opera letteraria altra: il breve romanzo omonimo di Niccolò Ammaniti.

A partire da questa solida base di partenza Bertolucci innesta tutte le suggestioni più tipiche del suo cinema, giungendo a una ricognizione e una summa del suo passato da cineasta oltre che a una riflessione sofferta e catartica sul suo stato fisico attuale -che lo vuole costretto su una sedia a rotelle, impossibilitato al movimento e necessariamente dipendente dall'affetto di chi gli sta vicino.

Più della metà dei 97 minuti di girato si svolgono all'interno dell'angusta, polverosa e buia cantina in cui i due protagonisti si ritirano per sfuggire alle contingenze del mondo esterno. Uno spazio chiuso che funge da barriera, protezione, bolla atemporale in cui dedicare del tempo a sé stessi e -potenzialmente- a un prossimo inaspettato. Un luogo celato agli occhi dei più, invalicabile, estraneo allo scorrere del tempo. Un tipo di ambiente da cui Bertolucci è innegabilmente attratto e affascinato da sempre. Basti pensare alla leggendaria casa spoglia in cui Marlon Brando e Jeanne Moreau consumano un amore disperato e privo di nomi in Ultimo tango a Parigi o -per restare alla stessa latitudine geo(cinemato)grafica- l'appartamento parigino che i tre cinefili sessantottini arrivano a condividere in The dreamers.

E' lo stesso regista a rivendicare il fascino di questa trasformazione dell'apparente claustrofobia di un luogo chiuso e staccato dal mondo ordinario in “una forma di claustrofilia, amore per il chiuso”, necessità di distacco, esigenza di un tempo da dedicare a sé stessi, di una rilettura esistenziale più profonda.

Altro elemento che fa di Io e te un'opera assolutamente personale -più che un semplice adattamento- è quell'analisi del disagio adolescenziale che ha informato tante delle più accattivanti opere di Bertolucci.

Lorenzo e Olivia sono degli outsider: introverso e schivo lui, tossicodipendente lei. Entrambi cercano inconsciamente una spalla, un braccio al quale aggrapparsi e nello stesso tempo tutti e due cercano di mostrarsi forti e autosufficienti agli occhi di un mondo che gli è estraneo.

Con le loro complesse psicologie, però, i due rappresentano solo gli ultimi -affascinanti- esemplari della schiera di giovani protagonisti che il regista emiliano ha scandagliato attraverso la sua macchina da presa. Sia il Lorenzo di Jacopo Antinori che l'Olivia di Tea Falco (due ottimi esordi) sono infatti idealmente legati al Joe de La luna, adolescente eroinomane e introverso, chiuso in una corazza di indifferenza rispetto al mondo, indaffarato nella ricerca di un padre sconosciuto e morbosamente dominato da una passione incestuosa nei confronti di una madre che, come le maree, alterna un amore incondizionato con una freddezza incomprensibile.

Anche in Io e te, Bertolucci esplora i legami familiari alto-borghesi, illuminandone l'inconsistenza, i silenzi, la menzogna e il perbenismo ipocrita attraverso la gelida e algida madre interpretata da Sonia Bergamasco, inetta a esprimere in modo autentico sentimenti che pure prova e, come dice Olivia, incapace di “accorgersi di avere un figlio psicopatico che si rinchiude in cantina”.

Eppure, rispetto alla Luna -immersa in un simbolismo carico di note freudiane e psicanalitiche- Io e te racconta con più chiarezza e semplicità l'incontro-scontro di due solitudini, lo scioglimento di due anime l'una nell'altra, l'avvicinamento graduale di due singolarità che vogliono apparire compiute in sé stesse ma fanno di tutto per diventare una, dimostrando come in piena era cibernetica il grande autore è ancora in grado di emozionare mostrando semplicemente due volti che si guardano negli occhi senza rivolgersi una parola.

E il percorso progressivo che avvicina Lorenzo e Olivia fino all'ultimo sgangherato ballo sulle meravigliose -e quanto mai appropriate- note di Ragazzo solo, ragazza sola (Mogol, David Bowie) si trasforma in un itinerario iniziatico che trasforma i protagonisti e li libera dal peso che opprime le loro giovani esistenze. Un potere liberatorio che -come per osmosi- Bertolucci ammette aver colpito anche lui. Il miracolo di Io e te è stato quello di strappare uno dei più grandi autori della nostra storia all'isolamento forzato a cui la malattia l'aveva condannato. Una liberazione, una rinascita, un ritorno alla vita. Dentro e fuori dal set.

Non è un caso allora che proprio gli ultimi fotogrammi del film citino quella poetica e quanto mai liberatoria chiusa de I quattrocento colpi di François Truffaut, rivelando ancora una volta l'indomita passione cinephile di Bertolucci.

Al posto del piccolo Antoine Doinel in corsa verso un mare che tanto profuma di libertà, un giovane e sbarbato Olmo Antinori che fissa l'obbiettivo e sorride, con la macchina da presa che si blocca in fermo immagine e lascia a noi il tempo di commuoverci e riflettere.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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Vargas 5/10

C Commenti

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alejo90 alle 21:42 del 23 ottobre 2012 ha scritto:

sicuramente la tua è una svista, comunque è Maria Schneider, non Jeanne Moreau la protagonista di Ultimo Tango

Noodles, autore, alle 18:42 del 24 ottobre 2012 ha scritto:

Assolutamente. Maria Schneider. Grazie della segnalazione.