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8/10

Il Primo Uomo regia di Gianni Amelio

Biografico
recensione di Stefano Oddi

Jean Cormery, alter-ego di Albert Camus, torna in Algeria dopo molti anni, ritrova sua madre, il suo ex-professore, vive qualche giorno tra il presente drammatico e sanguinoso della Guerra d'Indipendenza Algerina e la rievocazione del suo passato povero nella Algeri d'inizio Novecento, alla ricerca della tracce che possano far luce sulla personalità di un padre mai conosciuto.

 

"La storia con la S maiuscola non può che passare per le piccole storie di ogni singolo individuo".

Con queste poche parole, Gianni Amelio sintetizza tutta la materia pulsante che costituisce il suo ultimo lungometraggio, Il primo uomo, piccolo grande film tratto dall'omonimo romanzo incompiuto di Albert Camus, un intenso volume autobiografico in cui una delle più imponenti personalità della letteratura francese ha condensato i ricordi della sua infanzia nella torrida Algeri d'inizio '900, tra la tenerezza di alcuni momenti familiari e la ricerca delle tracce di un padre mai conosciuto. La grandezza di Gianni Amelio di fronte a un autore di tale rilevanza è stata quella di appropriarsi intimamente delle sue pagine ruvide e malinconiche, di farle proprie, di attingere attraverso esse a quel bagaglio di temi e suggestioni di cui il suo cinema da sempre si fa portatore. E nello stesso tempo, paradossalmente, quella di penetrare a fondo il punto di vista di Camus, di rivendicare fedeltà all'autore, alla sua vita e al suo modo di intenderla, di recuperare l'originalità del suo pensiero, macchiato spesso e volentieri da interpretazioni pretestuose.

In questo senso, Il primo uomo si configura come un film duplice e bifronte che raccontando Camus descrive Amelio; catalogandosi nel genere storico, si colora di un (auto)biografismo intimo e lacerante e, viceversa, gettandosi a capofitto nell'impresa di illustrare la parabola esistenziale di un essere umano, non può che compiere una riflessione universale sulla guerra, la violenza e l'odio, barbari strumenti che dividono etnie e popoli, travalicando così il contesto della Rivoluzione Algerina e aprendosi a una riflessione quanto mai contemporanea.

Tra le due atmosfere in cui il film si immerge in modo alternato (storica e biografica), quella familiare, popolana, introspettiva e intimista è senza dubbio la più riuscita, sia per l'intensità cruda e potente suggerita dagli scorci scenografici oltre che dalla splendida e funzionale fotografia di Yves Cape, capace di suggerire la luce brillante e afosa dell'Africa settentrionale, che per la componente eccezionale di realismo e veridicità espressa dagli stupendi interpreti.

Non c'è da sorprendersi in realtà perché a ben guardare, da Camus ad Amelio il passo è breve: il povero ragazzino algerino orfano di padre, cresciuto tra una mamma apprensiva e una nonna dura, spronato dal proprio maestro a continuare gli studi infatti di poco si allontana dalla figura dell'Amelio bambino, anch'egli immerso nella rigida educazione di madre e nonna, con un padre conosciuto solo in età adulta e un maestro provvidenziale che lo indirizzò all'educazione superiore.

In questo senso, dietro l'Algeria di Camus è facile scorgere la Calabria di Amelio. Ogni figura si colora dell'intensità emozionale di entrambe le vite, spesso e volentieri le parole del romanzo di Camus vengono tralasciate per lasciar spazio a quelle dei ricordi del regista e, specularmente, attraverso la struttura romanzesca dell'autore francese, Amelio evidenzia alcuni dei temi più tipici della sua poetica cinematografica: dal valore dell'istruzione a quello della famiglia, epifanizzato in tanti piccoli episodi teneri e dolorosi, ironici e sanguigni, tra cui vanno ricordati almeno l'aneddoto della prima sigaretta di un giovanissimo protagonista in compagnia dello zio e quello del cinema, in cui una nonna analfabeta rimprovera al nipote di non saper leggere abbastanza velocemente.

Il nostalgico ritorno al passato del protagonista si configura dunque come una ricerca del sé perduto, un viaggio di riscoperta, di riappropriazione di un'anima unica e individuale, un tentativo coraggioso e disperato di ritrovare un'identità seppellita dal peso degli anni, quel primo uomo del titolo che oltre a identificare la figura del padre mai conosciuto, si presta a segnalare in modo ben più netto quell'essenza primigenia, archetipica, pura e dimenticata che è propria del bambino (“Ogni bambino contiene già i germi dell’uomo che diventerà” dichiara il professor Bernard al protagonista ormai adulto).

Parallelamente a questa intensa linea (auto)biografica, Il primo uomo si muove in direzione dell'affresco storico, raccontando con qualche eccesso didascalico la Guerra d'Indipendenza Algerina, chiarendo la scissione tra indipendentisti e fautori di un'Algeria francese e soprattutto puntualizzando a più riprese la posizione di Albert Camus sulla faccenda, attraverso frasi e citazioni messe in bocca a personaggi diversi. Tutto il succo del pensiero politico di uno dei filosofi più eminenti del XX secolo viene raccolto in due battute che esplicitano palesemente le sue idee: “A volte si deve stare dalla parte dei barbari” e “Se fate male a mia madre che ha sofferto come voi, sarò vostro nemico”. Due espressioni che con coraggio, senza giri di parole nè peli sulla lingua, rivendicano il concetto per nulla rivoluzionario per cui “Solo la violenza può agire laddove regna la violenza”.

Intimismo e dramma sociale, dunque. Saggio storico e affresco biografico. Il tutto raccontato con la solita eleganza da Gianni Amelio che predilige la pulizia della scena piuttosto che il formalismo inutile e arzigogolato, sceglie soluzioni suggestive (l'apertura in un paesaggio cimiteriale sfocato riempito poco dopo dai nitidi volti dei personaggi in primo piano) e offre l'ennesima prova del valore assoluto e inattaccabile del suo cinema impegnato, confermandosi come uno dei migliori -se non il migliore- tra i registi italiani contemporanei. E nello stesso tempo, sfortunatamente, uno dei meno considerati. Come confermano le settanta misere copie in distribuzione che già gridano vendetta.

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Peasyfloyd (ha votato 7 questo film) alle 13:22 del 31 ottobre 2012 ha scritto:

ottima analisi!

Film bello e interessante. Solito bravo Amelio