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7/10

La Commare Secca regia di Bernardo Bertolucci

Drammatico
recensione di Antonio Falcone

Presso un parco romano, sul greto del Tevere, viene ritrovato il cadavere di una prostituta; la Polizia convoca per l’interrogatorio quanti sono stati visti passare intorno al luogo del delitto la sera precedente: Luciano  detto “Canticchia”; “Califfo”, pregiudicato mantenuto dalla sua compagna; Teodoro, giovane  calabrese di leva; Natalino, tipo stravagante, che respinge le accuse, rivolgendole invece ad altri due ragazzi che ha visto gironzolare nel parco; ognuno di loro nel raccontare la propria giornata delinea una personale verità, non corrispondente alla realtà dei fatti.

La commare secca è il primo lungometraggio  di Bernardo Bertolucci (Parma, 1941), diretto a soli 21 anni sulla base di un soggetto di Pier Paolo Pasolini, di cui era stato aiuto regista per Accattone, ‘61, a sua volta opera d’esordio dell’intellettuale friulano; nonostante ancora 15enne avesse girato due corti, La teleferica e Morte di un maiale, Bertolucci, una volta trasferitosi a Roma con la propria famiglia, sembrava invece intenzionato a ricalcare le orme paterne, il poeta e critico letterario Attilio, iscrivendosi appunto alla facoltà di Lettere Moderne e dedicandosi alla poesia, vincendo nel ’62 il Premio Viareggio Opera Prima con In cerca del mistero; la passione per la settima arte finì per prevalere, probabilmente avvertendo l’esigenza di  visualizzare in immagini le sue istanze poetiche.

Sceneggiato dal regista insieme a Sergio Citti, il film, presentato nella Sezione Informativa della Mostra del Cinema di Venezia, non entusiasmò particolarmente la critica, la quale lo tacciò come “opera manieristica”, “un semplice esercizio di stile”; vista oggi, pur percependo la mancanza di quella progressiva e concreta  connotazione personale delle successive realizzazioni, la pellicola affascina per la coesistenza di due anime contrapposte, due diverse modalità di affrontare la vita e di concepire il mezzo cinematografico; in un contesto estremamente realistico, con attori non professionisti, i protagonisti sono i diseredati, “gli ultimi”, i componenti di quel sottoproletariato urbano delle borgate romane, il mondo a parte cantato da Pasolini, ma Bertolucci, proveniente da una diversa realtà, alla partecipazione diretta sostituisce uno sguardo più astratto, preferendo ai primi piani frontali o al susseguirsi scomposto di campi lunghi e controcampi, con minimi movimenti della macchina da presa, l’estrema mobilità di quest’ultima, con una certa stilizzazione propria del cinema francese.

Nel raffinato intarsio d’immagini viene così visualizzato il fluire del tempo, il susseguirsi delle ore in un giorno qualunque, l’inconcludenza delle azioni dei vari personaggi, unendo poesia e disincanto, sottolineando l’ineluttabilità del destino con la presenza della morte, perdita di una primigenia innocenza e prevalere della materialità sulla spiritualità, già sublimata nel titolo, derivante da un sonetto di Gioacchino Belli, citato nel finale (…e già la Commaraccia secca de strada Giulia arza er rampino). La costruzione del racconto, riecheggiante Rashomon di Kurosawa, nel contrasto tra quanto narrato e ciò che vediamo essere realmente accaduto procede più che tramite dei veri e propri flashback, per blocchi digressivi, che andranno a riunirsi in conclusione, sino alla bella scena del ballo, ripresa dal maestro in alcune delle più note opere successive; Bertolucci riceverà al Festival di Cannes (11 - 22 maggio) la Palma d’oro alla carriera, ulteriore riconoscimento per uno dei nostri autori più lucidi e di ampio respiro, capace di suscitare consensi anche a livello internazionale, pur a costo di qualche divagazione o compromesso lungo il cammino.

 

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Voto degli utenti: 8/10 in media su 1 voto.

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dalvans (ha votato 7 questo film) alle 11:46 del 21 ottobre 2011 ha scritto:

Discreto

Insomma...

Noodles (ha votato 8 questo film) alle 23:37 del 5 febbraio 2012 ha scritto:

Uno dei migliori esordi cinematografici italiani. Condivido il richiamo a "Rashomon", capostipite delle Nouvelle Vagues europee. D'altronde, secondo me, Bertolucci è il maggiore rappresentante italiano del cinema moderno dopo Antonioni.