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7/10

L Era Glaciale 4 Continenti Alla Deriva regia di Steve Martino

Animazione
recensione di Antonio Falcone

Il distacco della Pangea e conseguente deriva dei continenti, fa sì che una parte della ben nota famiglia allargata, si ritrovi al largo, a bordo di una lastra di ghiaccio a far da zattera: Diego la tigre dai denti a sciabola, Sid il bradipo, cui babbo e mamma hanno appena affibbiato la candida nonnina, Manny il mammut, con quest’ultimo disperato per aver dovuto lasciare da sole la consorte Ellie e la figlia Pesca. Il ricongiungimento sarà possibile solo dopo una serie di (dis)avventure, per lo più mutuate sulla scia dell’ Odissea (c’è anche posto per il canto delle sirene), l’incontro-scontro con la ciurma pirata (e una sorpresa per Diego, nelle forme di Shira, una sinuosa tigre), ai comandi dello scimmione Capitan Sbudella, sulla quale avranno la meglio grazie al reclutamento di agguerriti chipmunks

“Meno male che c’è Scrat …”  Questo il pensiero ricorrente una volta uscito dalla sala dopo aver visto L’era glaciale 4: continenti alla deriva, l’ultimo capitolo di una serie felicemente iniziata da Blue Sky Studios nel ‘92 (da un racconto di Michael J. Wilson) e proseguita con costante ed ineguagliabile freschezza, tra sana irriverenza e genuina follia, nel 2006 (L’ era glaciale 2: il disgelo) e nel 2009 (L’era glaciale 3: l’alba dei dinosauri), riuscendo a consolidare, nell’ambito del cinema d’animazione, una più che valida “terza via”, aggiungendosi ai colossi Disney-Pixar e Dreamworks , affrancandosi man mano, per meriti sul campo, dal ruolo di outsider.

Si deve infatti al roditore di cui sopra se la pellicola in questione riesce a mantenere una certa continuità con l’originale, insieme alla sua amata ghianda, più volte inseguita, agognata, messa momentaneamente da parte giusto il tempo di saggiare gioie (e dolori) del talamo (l’incontro con Scratte, nel n.3): il continuo affannarsi per appropriarsene è ancora più emozionante del possesso stesso,  e la sfortuna spesso consiste nel non riuscire a gestire quanto di buono il destino ti può riservare (il finale a Scratatlantide), un’efficace mediazione tra il Wile E. Coyote di Chuck Jones e il Donald Duck di Carl Barks.

Ciò di cui sia avverte la mancanza, tanto a livello di scrittura (dei precedenti sceneggiatori è rimasto Michael Berg, coadiuvato da Jason Fuchs), che di regia (Steve Martino e Mike Thurmeier) è la perdita di gran parte della forza inventiva ed estremamente trascinante delle precedenti realizzazioni, in particolare si nota l’assenza a livello registico di Carlos Saldanha, il suo saper fondere surreale, comicità slapstick, nonsense, dando voce ad una “filosofia animale” che sa farsi beffe tanto della linea evolutiva che delle logiche di vita proprie degli umani (il branco costituito da una  mescolanza di esseri viventi quanto mai diversi, capaci però di “fare famiglia”, costituendo un fronte comune alle difficoltà), in una linearità narrativa mediata con un’efficace spettacolarità.

Ora, invece, si procede per accumulo, inanellando tutta una serie di gag create esclusivamente per stupire o comunque assecondare i più piccini (vedi i problemi di masticazione della nonna di Sid o la sua avversione per l’igiene personale, per quanto questo personaggio, vagamente simile a Mr. Magoo, mi è apparso il più riuscito, tra le nuove entrate) , l’inventiva diviene spesso fine a se stessa e ripetitiva, mentre il 3d non aggiunge poi molto a livello d’ effettivo coinvolgimento.

 La reiterazione dei comportamenti, caratteriali e non, dei protagonisti assume la caratteristica di una coazione a ripetere: non giovano al riguardo leziosità e carinerie varie, specie se espresse in forma di inutili canzoncine a corredo e lievi messaggi ecologisti o in odor di “volemose bene”, che lasciano presto il tempo che trovano. L’ottovolante ormai funziona a corrente alternata, almeno per gli adulti non accompagnati da minore, salvati dal tedio,  riprendendo quanto scritto ad inizio articolo, grazie agli intermezzi di Scrat e al felice connubio che rappresenta, genuinità animale e imperfezione umana.

V Voti

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