R Recensione

8/10

La Mummia regia di Karl Freund

Horror
recensione di Antonio Falcone

Tebe,1921. Tre componenti di una spedizione archeologica inglese esaminano il sarcofago di Him-Ho-Tep, gran sacerdote, il cui cadavere, non toccato dai consueti procedimenti d’imbalsamazione, fa supporre sia stato sepolto vivo; accanto a lui uno scrigno con il sigillo del faraone, contenente il libro di Thot, un papiro dove vi è scritta la formula capace di ridare vita ai morti, letta incautamente dal più giovane del gruppo: la mummia si anima, si impossessa del rotolo e fugge via. Dieci anni più tardi Ardath Bey, un vecchio egiziano dall’aspetto inquietante, partecipa ad una nuova campagna di scavo, volta a recuperare le spoglie della principessa Hanck-en-es-Amon…

Terzo componente, in ordine di apparizione, della “famiglia dei mostri” Universal, dopo Dracula, Tod Browning, e  Frankenstein,  James Whale, entrambi datati 1931, La mummia è forse il film che ha avuto meno riscontro di pubblico, mantenendo comunque intatti nel corso degli anni i suoi pregi essenziali: una notevole fascinazione visiva e la  felice combinazione tra la regia di Karl Freund, transfuga tedesco al suo esordio, già operatore in patria di Lang e Murnau e fotografo del citato Dracula, la sceneggiatura di John L. Balderston e le interpretazioni offerte sia dal protagonista, Boris Karloff, che quella dell’interprete femminile, Zita Johann, entrambe ricche di fascino nel rappresentare la forza di un amore forzatamente sopito e il suo improvviso ridestarsi; a differenza delle precedenti realizzazioni, le basi non poggiano su fonti letterarie, anche se alcuni citano come ispirazione un vecchio racconto di Conan Doyle, Il guardiano del Louvre, bensì viene sfruttata l’aura di magico mistero propria dei riti religiosi dell’ antico Egitto nell’immaginario collettivo, influenzata dalle scoperte di Howard Carter nel’22, la tomba di Tutankhamen, e le leggende che la stampa vi ricamò sopra sulla presunta maledizione che avrebbe colpito i profanatori.

Horror d’atmosfera e romantico, influenzato dall’espressionismo tedesco, verte su insistite e studiate inquadrature, spesso in concorrenza con il montaggio alternato, volte funzionalmente a far risaltare, più che l’azione, il clima opprimente presente nello spazio intorno alle persone e agli oggetti, causato dalla tensione psicologica ed emotiva che si viene man mano a creare e a rendersi palpabile, conseguente all’incalzare ineluttabile degli eventi. Tra le scene più belle, certamente il risveglio della mummia, il cui pathos è accentuato dalla totale assenza della musica, o il movimento di macchina che partendo dal particolare del sarcofago e arrivando dentro un palazzo dopo una rapida panoramica della città del Cairo, fa intuire al pubblico il legame tra la principessa e la sua reincarnazione.

Straordinario Karloff, tra ironia e classe, che si cela sotto il trucco ideato da Jack Pierce: voce blesa, gesti lenti, quasi sempre inquadrato nell’ombra, efficace nel rendere il contrasto tra un’esteriorità fragile ed un’interiorità che si fa forza di un sentimento e di un desiderio mai domi, tali da oltrepassare i limiti temporali, nella consapevolezza di avere il potere per realizzarli, non certo la goffa rappresentazione bendata delle numerose realizzazioni successive, più dei rifacimenti che dei veri e propri sequel; tra questi, si possono ricordare The Mummy’s Hand, ’40, Christie Cabane, col quale inizia il ciclo della mummia Kharis, che dopo altri due episodi terminerà con The Mummy’s Curse, ’44, Leslie Goodwins, la ripresa della tematica da parte della casa di produzione inglese Hammer nel’59, oppure i blockbuster moderni, da La mummia , ’99, Stephen Sommers, e i suoi due seguiti, sino agli spin-off Il Re scorpione e il Re Scorpione 2-Il destino di un guerriero.

 

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