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5/10

Maraviglioso Boccaccio regia di Paolo e Vittorio Taviani

Drammatico
recensione di Pasquale D'Aiello

Con la medesima struttura e ambientazione del Decameron di Boccaccio si ripropongono alcune novelle estratte da quell'opera, imperniate sui temi dell'amore, del sesso, della gelosia e della goliardia.

La nota raccolta di novelle di Boccaccio ha ispirato molti tra i più grandi registi italiani, basti ricordare Boccaccio 70 (1962), film ad episodi firmato da Luchino Visconti, Federico Fellini, Mario Monicelli e Vittorio De Sica, e Il Decameron (1971) di Pier Paolo Pasolini. Il lavoro dei Taviani prova a mantenere un rapporto filologico con l'opera letteraria più stretto rispetto ai precedenti lavori. Viene descritta con drammaticità la peste di Firenze del 1348 che spinge un gruppo di dieci giovani a rifugiarsi sulle colline vicino la città e che decide di ingannare l'attesa raccontando una novella a testa per dieci giorni. Se Boccaccio 70, partorito da un'idea di Cesare Zavattini, utilizzava il nome del novelliere del XIV secolo solo per indicare una continuità nelle finalità di polemica contro l'ipocrisia della società, ambientando al proprio tempo quattro storie totalmente nuove, Pasolini aveva conservato le stesse vicende boccaccesche ma ambientandole in una Napoli coeva della Firenze boccaccesca probabilmente per dare all'operazione un tono più popolare. I Taviani, invece, conservano sia la struttura del Decameron sia l'ambientazione sia i temi delle novelle, estrapolandone alcune che ruotano intorno ai temi dell'amore, del sesso, della gelosia e della goliardia. Eppure, nonostante queste aderenze, è forse l'opera che nel linguaggio e nel merito più si distanzia dallo stile e dalle finalità di Boccaccio. Ogni riferimento boccaccesco salace o volgare viene volto con i toni della leggerezza e della garbata ironia ed anche le finalità polemiche e dissacratorie sono del tutto assenti. E se è perfettamente legittimo modificare l'orientamento dell'opera resta però ambigua la direzione che viene intrapresa che muovendosi su diversi registri, da quello drammatico a quello comico, resta imbrigliata in un schema che appare immotivato. La scelta del cast si articola su diverse strategie, da un lato fa perno su alcuni giovani attori alle prime esperienze dall'altro sfrutta alcuni navigati attori (Lello Arena, Kim Rossi Stuart, Riccardo Scamarcio, Paola Cortellesi e Carolina Crescentini) ma l'esito non è stato particolarmente premiante, sia per l'immaturità di alcuni tra i più giovani sia per l'ambiguità dei ruoli proposti ad alcuni dei più maturi (il più credibile è Kim Rossi Stuart in un ruolo comico) e forse anche per un'errata scelta registica che mescolando alcune tracce di linguaggio trecentesco ai toni teatrali produce un effetto straniante che frequentemente interrompe la sintonia emotiva con il racconto che pure, a tratti, si instaura. Nonostante questi evidenti limiti l'operazione culturale realizzata dai Taviani ha il palese merito di riportare in circolazione nella nostra attualità culturale e cinematografica il patrimonio letterario di un'opera fondamentale della nostra cultura e della nostra lingua.

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