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8/10

Crazy Heart regia di Scott Cooper

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

Il film racconta la crisi della vita privata e pubblica del cantante country alcoolizzato Bad Blake, che riuscirà a ricostruire la propria carriera grazie al supporto e all'amore di una giornalista, Jean Craddock.

C'era una volta il grande Lebowsky... Poi Jeff Bridges, che era già grande, è cresciuto sempre più, e impersonando il personaggio di Bad Blake si consacra definitivamente un mito. Crazy Heart non fa che confermare questa ipotesi, e conduce il protagonista ad un meritatissimo premio oscar per il miglior attore protagonista.

Una prestazione esaltante e sfolgorante quella di Bridges, che veste i panni della vecchia country-star semi-dimenticata dal mondo ma non dai numerosi vizi accumulati negli anni d'oro: sesso, alcool e sigarette una dietro l'altra. Droga no, per carità, che si parla di un'altra generazione e di un'altra tempra culturale precedente l'epoca del rock'n'roll. Maggiore attaccamento alle tradizioni, alla cultura e ai costumi sudisti americani. La trasgressione deve rimanere in certi limiti, che si possono definire in uno stile di vita alla Bukowski, da cui Bridges sembra pescare a piene mani per ispirarsi. La stessa voglia di trasgredire non deve però mai superare un livello tale da far dimenticare i propri doveri, tanto che Bad Blake si bulla con i giovinastri di aver non essere mai mancato ad un concerto, anche nelle condizioni fisiche peggiori...

Non può mancare però l'ovvio riferimento a Johnny Cash, mito della musica country americana che come il Bad Blake del film ha vissuto sul finire della carriera una seconda giovinezza artistica dopo tanti anni di semi-dimenticatoio.

Ed è la musica l'altra grande protagonista dell'opera. Non è un caso che le liriche siano state premiate un po' da tutti (soprattutto The Weary Kind, gioiellino folk di Ryan Bingham premiato con l'oscar per la miglior canzone), e sia dato ampio spazio alle esibizioni di Bad Blake, le quali, udite udite, sono state tutte cantate integralmente dallo stesso Bridges. Senza fottuti montaggi acustici, revisioni, effetti di studio o sostituzioni vocali.

Questo è cinema, e questa è la grandezza di una prestazione sincera, vissuta profondamente fino all'osso. Forse non è neanche più cinema, è realtà troppo bella per essere rappresentata in maniera vera. Forse è uno di quei piccoli miracoli che aprono il cuore al sentimento.

Il resto è contorno: la storia d'amore con Jean Craddock (Maggie Gyllenhaal), il contorno dell'industria discografica, l'amico-allievo Tommy Sweet (Colin Farrell) che tenta di dare una mano al vecchio maestro, le camere d'albergo grigie, i viaggi in macchina desertici e i piccoli locali di provincia dove abbondano il cowboy. E' tutto uno splendido contorno, ma poco più che un riempitivo che circonda con garbo ed efficacia il vero valore aggiunto dell'opera: Jeff Bridges.

V Voti

Voto degli utenti: 5,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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Peasyfloyd, autore, alle 12:05 del 25 novembre 2010 ha scritto:

segnalo un video in cui c'è un unplugged strepitoso di Jeff