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7/10

Le Nevi del Kilimangiaro regia di Robert Guediguian

Drammatico
recensione di Allegra Mistretta

Un vecchio sindacalista di mezza età perde il lavoro e, mentre tenta di trovare una propria serena stabilità con moglie ed amici in mezzo alle difficoltà, vede ogni sforzo compiuto fino a quel momento crollargli improvvisamente addosso quando viene derubato di tutti i suoi risparmi.

Non si smentisce neanche nella sua ultima pellicola Robert Guédiguian, che ambienta il suo Nevi del Kilimangiaro nei soliti quartieri popolari della sua amata Marsiglia, dipingendo con occhio assolutamente oggettivo un quadro del decadimento della piccola realtà operaia della zona. Il regista mostra l'incontro tra la generazione dei vecchi sindacati e quella dei giovani disillusi dalla mancanza di stimoli del movimento operaio, troppo dedicato (succede lo stesso anche in Italia?) a difendere le conquiste raggiunte più che a rinnovarsi e progredire a braccetto con un mondo in continuo cambiamento; in mancanza di proposte e - per fare una citazione coerente - senza andare "all'attaque", il cinema può diventare una voce altisonante che può contribuire a ristabilire una memoria collettiva della storia troppo diluitasi nel mare del conformismo capitalista. E questo stallo Guédiguian lo fa sentire magistralmente, che senza mai scadere nell'ergersi a giudice dei suoi personaggi fa scontrare il buon vecchio Michel, ex sindacalista in cassa integrazione per un caso meramente quanto spietatamente fortuito (il sorteggio), con il giovane Cristophe, immolato al medesimo destino ma scevro del vantaggio dato dall'imborghesimento impregnatosi nelle abitudini del primo; Michel e la sua famiglia hanno trovato il loro equilibrio con tutte le difficoltà che una vita da operai ha comportato, ma tutto sommato godono delle serenità di chi ha scoperto le piccole comodità del modus vivendi tipicamente borghese, concetto che a Cristophe non torna e che lo slancia impulsivamente nella disperazione della rapina a mano armata, solo per potersi pagare l'affitto.

Le botte che Michel, sua moglie ed i suoi amici subiscono dalle violenze del furto non sono solo percosse fisiche: quando la responsabilità del furto verrà attribuita a Cristophe ed un suo amico, quelle percosse diventano soprattutto affondi morali che li segneranno per sempre, nell'incredulità che un "fratello", un "compagno", per dirla all'antica maniera comunista (e come tra loro si chiamano i sindacalisti, nel film), possa arrivare ad un gesto di tale gravità, laddove dovrebbe esistere soltanto fratellanza e solidarietà. I vecchi sindacalisti rimangono impantanati nella rabbia, nell'odio dettati dallo scandalo e dalla vergogna dell'accaduto quasi fino alla fine del film, non hanno occhi per le motivazioni disperatissime che hanno trascinato Cristophe ad accollarsi alle azioni di un compagno ben più delinquente di lui, semplicemente per potersi pagare le spese del traballante appartamento dove vive e per portare a casa un pasto per i due amati fratellini. A Michel e Marie-Claire vengono sottratti tutti i soldi ricevuti durante i festeggiamenti per il loro anniversario di matrimonio, dove ricevono due biglietti per un viaggio in Tanzania, il paese del Kilimangiaro che poi è il protagonista della famosa canzone di Pascal Daniel dal quale prende titolo il film, e che gli ospiti cantano insieme alla coppia nella gioia dei festeggiamenti.

Guédiguian, spettatore della pulita e spontanea recitazione del suo solito gruppo di attori affezionati (compresa sua moglie, l'onnipresente e briosa Ariane Ascaride), mette in luce una comunità che nel disagio più cieco ha perso la caratterizzazione di gente di porto, operaia; adesso la realtà svela soltanto la povera gente, "les pauvres gentes" dell'omonimo poema di Victor Hugo al quale il regista dichiara di ispirarsi all'inizio dei titoli di coda e che si scopre nell'adozione dei fratellini di Cristophe da parte di Marie-Claire all'insaputa del marito (la storia di Hugo narra infatti l'accoglienza della moglie di un pescatore, di nascosto, dei figli di una vicina di casa morta nella povertà), sebbene Michel lo scoprirà nel dopotutto lieto fine del lungometraggio, dove è in procinto di svelare di essere giunto alle stesse conclusioni della moglie. È un epilogo che si chiude con il perdono, concetto squisitamente cristiano da dove derivano le culture occidentali, compresa quella stessa delle realtà popolare marsigliese, che prima che comunista prende forma in questa ben più antica matrice; altrettanto cristiano poi è l'atteggiamento misericordioso di Michel che, in una sorta di contemporaneo "porgere l'altra guancia", si farà rimborsare i soldi del viaggio per potersi permettere la cura dei fratelli di Cristophe durante la sua reclusione, abbandonando il sogno tipicamente borghese di una momentanea fuga dai propri stenti in terre lontane. Una mancata fuga che diventa invece un riassestamento sulla strada giusta, quella dei ferventi ideali sindacalisti della solidarietà, dell'affronto a pieno volto di ogni ostacolo.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 2 voti.

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