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R Recensione

5/10

Il Potere dei Soldi regia di Robert Luketic

Drammatico
recensione di Alessandro Giovannini

Adam (Liam Hemsworth) lavora con un gruppo fidato di collaboratori in una delle più grandi aziende di prodotti tecnlogici per le masse, capeggiata da Nicholas Wyatt (Gary Oldman). Siccome egli non degna d'attenzione un loro progetto di produzione, il grupo decide di sbronzarsi a sue spese con la carta aziendale. Scoperti, wyatt propone una soluzione ad Adam per non essere denunciato ed arrestato (il che sarebbe cosa assai grave, date le sue precarie condizioni economiche): fare da spia per Wyatt all'interno dell'azienda del principale rivale di quest'ultimo, Jock Goddard (Harrison Ford), e rubandogli il prototipo di un nuovo rivoluzionario smartphone.

La guerra degli smartphone al cinema, con una sceneggiatura a metà tra Wall Street e Slevin - Patto criminale (con un concept di base che è debitore in primis del leoniano Per un pugno di dollari, e di conseguenza di Yojimbo di Akira Kurosawa, ma che ha le sue radici nella commedia dell'arte, in Arlecchino servitore di due padroni). Doppi giochi, macchinazioni, soluzione finale. Tutto un po' già visto, ma aggiornato alle disparità di classe post 2008 tra super ricchi e medio-poveri con una gran voglia di scalare i ranghi delle gerarchie sociali. Avidità, sete di facili guadagni, squali dell'alta finanza industriale, ed un giovane con una coscienza (per garantire l'Hollywood ending e rassicurare gli americani di essere, in fondo in fondo, dei bravi ragazzi). Il finale è ciò che rovina il film: oltre ad essere inutilmente stiracchiato, la sua volontà di far redimere il protagonista è l'errore più clamoroso della pellicola; lasciarlo marcire, dannare, superare la soglia del non ritorno, questo sì che sarebbe stato un messaggio efficace. Così invece fa tanto soap opera, tanto patriottico, tanto politically correct da suscitare un filo di nausea.

Liam Hemsworth non se la cava male, ma dispiace vedere due mostri sacri come Gary Oldman e Harrison Ford in parti ritagliate, e quando ci sono  loro sullo schermo tutto il resto scompare: il loro breve incontro/scontro nel ristorante di lusso è il miglior momento del film, e si vorrebbe che durasse di più. Invece il regista si dilunga in una scialba parentesi sentimentale con la bionda donna in carriera di turno, tanto per metterci dentro anche una bella ragazza che non guasta mai in un film; peccato che la bella Amber Heard sia una presenza effimera, costretta in poche battute stereotipate.

Il film parte bene ma poi si risolve in tante cose già viste ed in altre ai limiti del verosimile, i due attori migliori non hanno abbastanza spazio, e la regia è incapace di infondere al film quella dose di cattiveria che sarebbe servita ad un racconto del genere, parabola di dannazione in quel di Manhattan. Così invece tutto si stempera in un clima da favoletta edificante, ed è un vero peccato.

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