Bastardi Senza Gloria regia di Quentin Tarantino
GuerraNella Francia occupata dai nazisti, un gruppo di soldati americani viene paracadutato con un unico obbiettivo: ammazzare quanti più nazisti possibile per seminare il panico nelle retrovie durante lo sbarco in Normandia. Nel frattempo un giovane eroe dell'esercito di Hitler si innamora della proprietaria di un cinema parigino, ebrea nascosta con falso nome, fuggita non senza difficoltà all'eccidio della sua famiglia. Le due storie si incroceranno proprio nella sala proiezioni di quest'ultima, dove si terrà una première di uno dei film (di propaganda) più voluti dal Regime, a cui saranno presenti numerose autorità naziste.
Once Upon A Time in Nazi-Occupied France
Parlare di Tarantino è parlare di cinema. Soprattutto in un lungometraggio dove pellicole e sala di proiezione diventano strumento della vendetta ebrea sui gerarchi nazisti. Meglio lasciare le liste di citazioni cinematografiche alle decine di siti specializzati, limitandosi ad un chiarimento di fondo per chi non avesse visto neanche un minuto di Quel maledetto treno blindato (1977, che negli USA si intitola appunto The Inglorious Bastards). Non è un remake del film di Castellari. Semplicemente Tarantino ha voluto evidenziare l'importanza del suo Maestro, riuscendo a portarlo a Venezia, smuovendo un po' di rumori mediatici attorno al nostrano regista, che oggi rilascia interviste sempre molto entusiaste nei confronti del suo estimatore.
Dopo la caduta di Death Proof (2007), Tarantino pare riconquistarsi le grazie del pubblico, allargandolo in maniera anche considerevole, vuoi per Brad Pitt, vuoi per il tema trattato. L'obbiettivo è sempre il solito: il divertimento. Termine da intendere in accezione nobile, sana. Quel divertimento che ha permesso a Leone di reinventare un genere e che, a fasi cicliche, viola le regole di volta in volta stabilite. Un divertimento che impone una recensione di cuore, senza far troppo caso ad aspetti da cinefilo, che noi adepti possiamo discutere attorno ad un boccale di birra.
Ci si è chiesti, soprattutto oltralpe, quanto fosse corretto giocare con un capitolo della storia come quello di Hitler. Il superamento della seconda metà del novecento deve ancora avvenire e a qualcuno è sembrato fuori luogo tanto la presenza di personaggi storici come il Führer, quanto il falso storico finale. Sarà anche interessante ma, vuoi per la giovane età, vuoi per una diversa educazione, a me è sembrato più problematica l'idea di un gruppo di ebrei che, con il plauso dell'opinione pubblica, tortura e uccide chi vuole, come vuole. Un parallelismo che forse qualcuno a Tel Aviv si divertirà a fare, ricordando la pulizia etnica in Palestina. Un dubbio che nasce leggendo sui giornali il grande entusiasmo registrato in Israele durante le proiezioni del film. Un parallelo stupido, che forse non aveva neanche senso porsi. Sicuramente più attuale dell'altra polemica.
Detto questo non si può chiedere a Tarantino di citare la situazione palestinese, separando il sionismo dalla questione ebraica. L'impegno politico nel suo cinema deve essere interpretato controvoglia, forzatamente. Non ci sono messaggi particolarmente controversi. In questo caso è la vendetta ebrea cala sui nazisti. Ci mancherebbe ci fosse qualcosa da eccepire su questo. Il resto non conta. Quindi meglio lasciarsi divertire per più di due ore e mezzo, ammaliati dello splendido gioco di lingue originali con sottotitoli (ovviamente storpiato e amputato in Italia), abilmente gestite soprattutto dal vero protagonista della pellicola: il colonnello Landa, uno splendido Christoph Waltz (premiato giustamente a Cannes come migliore attore). Anche Brad Pitt dimostrata capacità non scontate, seppure neanche inedite (basti pensare a Seven). La recitazione riesce infatti a garantire un valore aggiunto alla di per sé ottima sceneggiatura, sempre capace di incastrare elementi diversi in una coralità che ha contribuito alla notorietà tarantiniana. Altro elemento tipico, mai assente, la colonna sonora. Perso dietro al Baarìa (2009) di Tornatore, Morricone non ha avuto il tempo necessario per poter garantire un lavoro di degna qualità. Con la perfezione che lo contraddistingue il compositore si è ritirato, lasciando alla colonna sonora estrazioni da spaghetti western e musica commerciale degli anni '80.
A vedere l'inizio del film, dichiaratamente un omaggio a Leone, si crea la speranza che anche i dialoghi siano all'altezza delle aspettative. L'analogia tra la reazione umana rispetto ai topi, diversa in media da quella davanti agli scoiattoli, dovrebbe colpire i facili pregiudizi degli occidentali. Certo manca il brio de Le Iene, ma si potrebbe giustificare con il tema trattato. Invece con il susseguirsi dei capitoli ci si accorge che qualcosa si è perso per la strada. Annoiarsi durante un dialogo di Tarantino indica una patologia grave. Eppure davanti ad uno strudel con panna verrebbe da addormentarsi direttamente sul dolce. Forse è l'unico punto debole del film, capace per il resto di non rallentare mai troppo, mantenendo limitate le scene di violenza, condensate in brevi istanti e incorniciate da una narrazione attenta ai particolari, che aiuta la telecamera ad evidenziare ogni aspetto, anche secondario, delle ambientazioni.
Mancano anche le battute, se si escludono due (massimo tre) uscite, dimostrando che a questo giro la priorità è data alla messa in scena, alla fisicità. Non a caso si parla di un budget notevole, con cui Tarantino non ha abitudine di lavorare, giustificato in parte dai contratti con gli attori. È però innegabile come ci sia dietro la volontà di fare le cose in grande. Reinventarsi la storia, in uno dei suoi passaggi più cruciali, è una cosa seria, anche quando vuole essere solo un gioco.
La regia è il marchio di fabbrica che meno si evolve. Siamo comunque davanti a un lavoro molto diverso rispetto ai precedenti. Concepito durante il parto di Kill Bill (2003-2004) pare richiamarsi a quella produzione (struttura a capitoli, uso delle musiche e indicazioni scritte per aiutare il pubblico). Invece qui si osa di più, rispetto all'intera produzione tarantiniana. L'epicità non è solo richiamata ma viene messa in scena. L'ironia accompagna il drammatico, anziché anticiparlo. Questo perde una parte dell'effetto d'impatto con cui il regista aveva arruolato i fan più esaltati. Però riesce a recuperare l'interesse suscitato nella fase iniziale della carriera. Si torna a pensare che ci sia qualcosa che vuole essere raccontato, l'amore verso un modo di fare film, oltre al semplice divertimento da citazione.
Non è sempre facile consigliare a chiunque di vedere un film di Tarantino.
In questo caso viene invece da porsi una domanda: cosa state aspettando? I bastardi vi stanno aspettando!
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