Machete regia di Ethan Maniquis, Robert Rodriguez
AzioneEx agente federale del governo messicano, Machete cerca vendetta per lo sterminio della sua famiglia. La collaborazione con The Network, organizzazione sotterranea per l'immigrazione clandestina in Texas, lo porterà a sventare i piani del senatore repubblicano McLaughlin e a scontrarsi con la propria nemesi, il boss Torrez.
Ogni promessa è debito: a quattro anni di distanza dal doppio capitolo di Grindhouse il finto trailer di Machete diventa un film. Nato per gioco ma sostenuto da un ampio seguito di simpatizzanti del genere, il promo interpretato dall’ex-galeotto Danny Trejo ha assunto uno status cultuale praticamente immediato, al punto da rendere inevitabile la sua trasformazione in un lungometraggio presentato in anteprima alla 67esima Mostra del Cinema di Venezia.
Noto per saper sfruttare la scarsità di mezzi (economici) ricavandone il massimo dei risultati – e preferibilmente portandoli all’eccesso – Robert Rodriguez (qui senza il “fratello di sangue” Quentin Tarantino) si “accontenta” di dieci milioni e mezzo di dollari per realizzare l’ennesimo cult della sua scuderia. Tenendo fede al proprio credo cinematografico “fai-da-te” e a conduzione famigliare (perfino con Trejo c’è un legame di parentela), il regista texano non si sottrae a nessun passaggio della filiera pre, intra e post produttiva, facendosi affiancare alla regia dal montatore (delle sue pellicole) Ethan Maniquis, alla sceneggiatura dal cugino Álvaro e al montaggio dalla moglie Rebecca. Alla sua band, i Chingon, è affidata invece la colonna sonora.
Il risultato è un action-movie di seconda categoria che assomma i caratteri più salienti del genere: sesso (se c’è, fuori campo o con derive da porno soft-core), droga ed “esercizio dell’amata ultraviolenza” declinato in chiave splatter; un godibilissimo omaggio al cinema d’exploitation (o, per citare lo stesso regista, “tex-mexploitation”) e alla sottocultura dei B-movies a basso costo di cui entrambi i “Blood Brothers” hanno ampiamente nutrito le rispettive cinematografie, celebrandone i fasti tanto in Grindhouse (vera e propria riproposizione – tematica e stilistica – del clima underground anni ’70) che nell’irrinunciabile “horror” vampiresco Dal Tramonto all’Alba.
Che Rodriguez ci sia o ci faccia non è una preoccupazione legittima né tantomeno rilevante: prendere troppo sul serio il carattere grezzo e apparentemente raffazzonato del suo cinema vorrebbe dire tradirne gli intenti. Il recupero delle atmosfere exploitation presuppone una consapevolezza estetico-culturale non indifferente e Rodriguez non ha difficoltà a dissimularla, lavorando sui materiali visivi e narrativi senza velleità esibizionistiche e con un atteggiamento ludico in cui i suoi ammiratori non faticano a riconoscersi.
Le “sporcature” di Grindhouse (pellicola rovinata, suono fuori sincrono) vengono però mantenute soltanto nel “prologo” del film e il revival del trash prosegue piuttosto sul binario di un intreccio volutamente approssimativo, che all’apparente surrealismo della narrazione associa un sottotesto politico esplicitamente pungente: nella rivolta urbana dei messicani clandestini non si può che leggere una feroce critica al sistema repressivo e alle politiche repubblicane anti-immigrazione così come nella figura del senatore McLaughlin (un Robert De Niro atteggiato in costante smorfia da Popeye) è impossibile non vedere una parodia dell’ultra-conservatore texano George W. Bush.
Il gusto per il grottesco resta la cifra dominante dello stile di Rodriguez e delle suggestioni tipiche del suo cinema (a cui non si può fare riferimento senza citare l’onnipresente Tarantino) anche Machete conserva ampie tracce: in primis la feticizzazione della figura femminile, possibilmente mutilata, bendata (Michelle Rodriguez come citazione di Elle Driver?), mascherata (da infermiera o da suora), sempre, e rigorosamente, armata, il corpo esibito come uno strumento tanto di seduzione (per la gioia del pubblico maschile, ma non solo, un nudo integrale “digitalizzato” di Jessica Alba) che di distruzione. Si aggiunga ad essa una carica dissacratoria che non risparmia neppure i più “delicati” tabù religiosi: come in Dal Tramonto All’Alba (ma il reverendo di Harvey Keitel si dimostrava molto più riluttante) anche in Machete è un prete (pardon, “Padre”) non convenzionale ad aiutare l’antieroico protagonista, ritagliandosi una sequenza di “martirio” che non piacerà per nulla alla CNVF. E ancora, la divertita ostentazione di una violenza pulp che raggiunge livelli di ridicolo parossismo (si veda un uso improprio di intestini umani come mezzo di fuga) avvalendosi di antagonisti destinati ad una fine assai grama: oltre a Jeff Fahey e Shea Wigham (non più eterno secondo di Steve Buscemi come nel serial Boardwalk Empire) anche la leggenda vivente – seconda soltanto a Chuck Norris – Steven Seagal, destinato ad una morte comica e parodisticamente tarantiniana (lo scontro finale si potrebbe ribattezzare “Machete Vs. Katana”).
Libero di spaziare dal cinema per ragazzi (Spy Kids, in arrivo negli USA il quarto capitolo) a quello per intenditori, decisamente adulti, di sottogeneri alternativi, grazie all’indipendenza della sua casa di produzione (la Troublemaker Studios), Rodriguez torna gli esordi della propria carriera con un personaggio à la Mariachi e il proposito di farne il protagonista di una futura trilogia (Machete Kills e Machete Kills Again i capitoli annunciati sui titoli di coda). Chissà che non riesca a mantenere anche questa promessa.
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