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7/10

George Harrison: Living in the Material World regia di Martin Scorsese

Documentario
recensione di Alessandro Giovannini

Vita di George Harrison, dal suo esordio con i Beatles alla sua carriera solista, fino alla morte per cancro nel 2001.

Documentario ciclopico, come Scorsese è solito fare, su uno dei 4 Fab Four. Il chitarrista solista del gruppo forse non è mai stato il più amato Beatle delle folle, ma il suo contributo alla band è stato fondamentale in varie occasioni. Il doc è diviso in due parti, più o meno coincidenti con la vita di Harrison pre e post Beatles. La regia opta per un approccio invisibile: niente voce narrante, montaggio di interviste condotte da Scorsese con altre d'archivio, intervallate da registrazioni audio in sala prove, interviste tv, fotografie rare. Sfilano personaggi più e meno celebri appartenenti a vari ambiti artistici e non, tutte persone che hanno avuto più o meno a che fare con Harrison: dai due Fab four ancora viventi ai suoi parenti, ad altri musicisti con cui ha lavorato (il suo mentore del sitar Ravi Shankar, Tom Petty, Eric Clapton che ebbe una tresca con sua moglie, i produttori George Martin e Phil Spector) persino i Monty Python di cui Harrison produsse il film Life of Brian.

A volte Scorsese chiede un certo sforzo allo spettatore per essere seguito: il film è montato come un flusso continuo di informazioni e dichiarazioni senza indicazioni di date, e ciò ne preclude la visione a chi non sia minimamente edotto sul background storico degli avvenimenti narrati o a chi non sia un particolare appassionato dei Beatles o esperto della vita di Harrison. Inoltre il regista a volte si lascia tentare dall'inserire il suo zampino di cinefilo, aggiungendo brevi rifermenti a Blow-Up di Michelangelo Antonioni e dilatanto oltre il necessario il dialogo con Terry Gilliam: episodi che si potevano asciugare data la lunghezza del film. Quest'ultimo ne esce come un personaggio costantemente in tensione, che cercò tutta la vita di coniugare le esigenze commericali ed artistiche con un afflato spirituale che lo portò ad interessarsi alle pratiche meditative orientali mischiate con la fede cristiana, in un pout-pourri new age che non appare chiaramente definito nel corso del film. Di certo la sua ricerca interiore non pare averlo mai fatto conciliare del tutto con sè ed il mondo, date le sue numerose ricadute nel consumo di droga in varie fasi della sua vita. E' tuttavia una figura di cui traspare il contegno, una certa riservatezza rispetto ai classici eccessi da superstar, una genuina ricerca di sperimentazione musicale, una grande affabilità umana per la quale lo ricordano tutti i soggetti intervistati.

La colonna sonora del film è composta esclusivamente da brani suoi, anche per quanto riguarda quelli incisi con i Beatles. Imperdibile per i fan, consigliabile per chi si interessa di documentari musicali, superfluo per tutti gli altri.

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