V Video

R Recensione

7/10

Gangs Of New York regia di Martin Scorsese

Drammatico
recensione di Gianmatteo Luchi

La scena si apre sui Five Points, il quartiere più malfamato della New York ottocentesca. È il punto in cui convergevano cinque strade di Manhattan, rispettivamente Anthony (oggi Worth), Orange (oggi Baxter), Mulberry (che mantiene il nome), Cross (oggi Mosco/Park) e Little Water (oggi scomparsa). Nella Grande Mela dei primordi questa zona era teatro di numerosi e sanguinari scontri tra bande criminali, finalizzati ad ottenere il controllo del territorio.

Le varie “gangs” riflettevano la composizione demografica della città, al tempo vero e proprio porto di mare, caratterizzato dalla massiccia presenza di “extracomunitari” provenienti dal vecchio continente. Gli scontri tra le tribù di immigrati e i “nativi” (non gli Indiani d’ America ma la seconda e la terza generazione di figli di immigrati, nati sul suolo americano) riflettono una realtà storicamente reale, raccontata nel libro del giornalista Herbert Asbury “The gangs of New York”.

 Leonardo di Caprio è Amsterdam Vallon, il figlio del Prete, capo della banda irlandese dei “Conigli morti”. Daniel Day Lewis è “Bill il macellaio”, lo spietato capo della banda dei Nativi. Il rapporto tra i due, il desiderio di vendetta di Amsterdam verso il macellaio che gli ha ucciso il padre, i riferimenti storici e sociali alla realtà americana del periodo sono le tracce attraverso le quali si sviluppa questo grandissimo e sottovalutato film.

Si sa. Una delle ossessioni, forse le principale, di uno dei più grandi maestri della New Hollywood (a mio parere di Hollywood e basta), sono le sfaccettature della vita e delle grandi metropoli, e quindi i problemi del substrato sociale, la realtà delle minoranze etniche, l’ambiguo fascino dei criminali, la religione…Le metropoli americane, e in particolare New York, sono da sempre i teatri di posa dove Martin Scorsese mette in scena i suoi drammi in taxi giallo, i suoi boss irlandesi, le sue tragicommedie italoamericane, i suoi pugili rusticani..

Con GoNY il buon vecchio Martin ha scelto di andare direttamente alla fonte, per cercare di raccontare ciò che sta realmente all‘origine della storia americana, prendendo la sua amata e odiata New York come cavia e sezionandola nelle sue origini politiche, sociali ed etniche. Inutile dire che l’impresa è risultata ardua: il film ha avuto una gestazione di circa vent’anni, doveva durare molto di più, è stato finalmente portato a termine tra il 2000 ed il 2001 ma, causa 11 settembre, è uscito nel 2002. Non ha avuto vita facile neanche dopo l’uscita questo film: non calcolato agli oscar (probabilmente l’atmosfera post Twin Towers ha influito molto visto il tema non certo accomodante), ha vinto qualche premio secondario, soprattutto per le interpretazioni, e non ha entusiasmato del tutto la critica americana.

È innegabile che questo non è il miglior film di Scorsese, ne il miglior film su New York. È una di quelle pellicole in cui si percepisce bene l’entusiasmo di fondo e l’obiettivo che l’autore si è prefissato, ma proprio per il suo ampissimo respiro, questo obiettivo non riesce ad essere centrato in pieno. Ogni tanto la sceneggiatura e i dialoghi non sono all’altezza di scenografia (la cui bellezza è merito italiano: tutti gli esterni sono stati girati negli studi di Cinecittà) e degli attori ed effettivamente si ha una sensazione, mai troppo incisiva ne mai univoca per nessuna sequenza (nel senso che eventuali difettucci e storture sono sempre in ombra di fronte alla precisione della regia ed alla grandezza di certe interpretazioni, quella di Lewis su tutti), di incompletezza. I sentimenti di Amsterdam verso Bill ne sono un esempio: soffocato dall’impegno di mettere su uno spettacolo tanto imponente, Martin si è dimenticato di obbligare (o di correggere al momento giusto) gli sceneggiatori a fare il loro lavoro nel migliore dei modi: Non si capisce se Amsterdam odi il macellaio, se, quando e come smetta di odiarlo ed esattamente cosa faccia rinascere in lui il desiderio di vendetta (il discorso di Walter "Monk" McGinn non sembra bastare allo scopo, nell’economia del film) .

Ma nonostante tutto ciò questo film è uno dei migliori film del regista ed uno dei migliori film su NY.

Gangs of New York è innanzitutto uno sconfinato atto d’amore di Scorsese verso la città e la sua travagliata storia, i suoi protagonisti, i suoi luoghi, la sua geneticamente multietnica cultura.

Ma dietro a questo c’è molto altro. Talmente tanto che risulta difficile esaurirlo in una breve recensione.

Innanzitutto  una profonda riflessione sui concetti di “straniero” e “autoctono/nativo”; riflessione che se fatta attraverso il filtro della storia americana assume una connotazione particolare: William Cutting è nato in America e si dichiara un Nativo, ma non ci è dato sapere da quante generazioni il suo cognome ha vissuto in America. Di lui non dubitiamo è vero, ma nella sua banda di “veri americani” giureremmo di trovare non solo veri nativi ma anche gente emigrata in tenera età o persone nate li i cui genitori emigrarono qualche anno prima..oppure gente, come McGloin, che rinnegate le proprie origini, sta semplicemente con il più forte. Amsterdam ha passato praticamente tutta la sua giovane vita in America, per quale ragione dovrebbe amare di meno questo paese? Eppure, proprio perché lo ama profondamente radunerà la sua gente e cercherà di dar loro la possibilità di viverci serenamente e decentemente e di preservare la loro cultura. L’ambiguità della distinzione di cui si è detto prima traspare anche nel tema della leva forzata, altro tra i tanti fili conduttori della pellicola. Gli immigrati appena sbarcati sono subito marchiati a fuoco come americani e costretti a combattere una guerra che non potrebbe essere più lontana dalla loro terra, su cui solo qualche mese prima ancora camminavano. Morire per un altro paese è giusto? E chi sceglie di farlo (anche se il motivo reale sono tre pasti al giorno e una paga decente) o è obbligato a farlo, non ha automaticamente più diritto di essere considerato un cittadino rispetto a chi stringe ipocritamente una bandiera con la quale lava il sangue innocente che ha appena versato?

La grande Democrazia americana è nata per strada, è nata negli scontri etnici, è nata con le elezioni truccate ed i voti estorti, è nata sotto lo sguardo di un dio unico che poi è diversissimo a seconda che ad invocarlo sia un nativo, un irlandese o un ricco aristocratico, è nata grazie al coraggio e la passione degli immigrati e al sangue dei più deboli.

In quello che in mano ad altri forse risulterebbe un baraccone senza capo ne coda spicca la mano esperta di Martin Scorsese, che tra movimenti di macchina classici agilissimi abbinati a sequenze agitate dal gusto e dal ritmo post moderno, ci da una gran bella lezione di cinema.

Bill : “Il settimo giorno, il signore si riposò, ma prima di farlo, si accovacciò sulle sponde dell’Inghilterra e quello che defecò...fu l’Irlanda”

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 10 voti.

C Commenti

C'è un commento. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

dalvans (ha votato 7 questo film) alle 22:49 del 12 ottobre 2011 ha scritto:

Discreto

Mai piaciuto molto