Shutter Island regia di Martin Scorsese
ThrillerA Shutter Island hanno un problema: una matta ricoverata nel manicomio criminale che occupa quasi l'intera superficie della minuscola isoletta è fuggita, per ritrovarla viene inviato un detective del neonato FBI con nuovo compagno. Sull'isola troveranno che chi gestisce il manicomio non è meno enigmatico dei ricoverati e che la permanenza in quel luogo lascia emergere ricordi, fantasie e dubbi sulla natura della permanenza che possono mettere a repentaglio la loro stessa vita.
A pensarci bene Scorsese non ha mai fatto un film di genere, sebbene per gran parte della sua carriera si sia dedicato a storie di gangster e criminali di vario tipo, lo stesso i suoi film non hanno mai avuto la scansione del cinema puramente di genere. Shutter Island quindi diventa facilmente il suo film più fieramente thriller.
Siamo dalle parti di Jacques Tourneur, di Samuel Fuller e del grande cinema di serie B anni '40 americano, Scorsese non lo nega, anzi. Tutto rimanda a quel tipo di atmosfere e di inquietudine ma non senza i consueti debiti alle ossessioni del regista che oltre a spuntare un po' ovunque nel film hanno il loro momento più alto nell'ultimo dialogo del sorprendente finale. Per Scorsese si tratta ancora una volta dell'adattamento di un racconto altrui ma piegata al modo in cui l'ha letta il regista che di quella trama e di quei personaggi mostra non tanto la storia quanto ciò che ha colpito lui, le contraddizioni che ci ha visto e le piccole leve che hanno suscitato in lui. Tutto questo basta a portare Shutter Island un palmo sopra qualsiasi altro film simile, direttamente nel reame del cinema vero.
Una simile precisazione è doverosa perchè poi Shutter Island, purtroppo, in molti punti perde colpi. Nonostante abbia dalla propria un Leonardo Di Caprio sempre più performante sotto la direzione scorsesiana, il film non riesce a tenere costante il filo della tensione. La lotta del detective contro i misteri del manicomio che lentamente sembrano coinvolgerlo e il suo lento mutamento di personalità e condizione solo in certi punti toccano le vette che lo straordinario inizio sembra promettere.
Quello che succede alla fine è che Shutter Island non è un autentico film di serie B (troppo poco asciutto, poco diretto e troppe le variazioni autoriali) nè il delirio ossessivo di colpe in cerca di una pena che le redima che il regista vorrebbe (troppo poca la convinzione nel perseguirlo). Il vortice perduto in cui finisce il detective, fatto di allucinazioni e straordinarie luci sovraesposte posizionate da Robert Richardson, lascia intuire più quello che poteva essere (un nuovo capitolo degli abissi umani dipinti da Scorsese) che quello che è (un thriller molto ben fatto con qualche eccessiva ovvietà di trama).
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