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6/10

Gli Abbracci Spezzati regia di Pedro Almodóvar

Drammatico
recensione di Gabriele Niola

Ernesto, è regista ma cieco e da quando ha perso la vista si fa chiamare Harry Caine. Lena è impiegata in un'azienda, corteggiata dal suo capo gli chiederà un grosso favore economico e qualche anno dopo la ritroveremo sua moglie insoddisfatta con velleità d'attrice. Ernesto e Lena si incontreranno sul set, si ameranno e il loro amore verrà contrastato con tutta la forza possibile dal bieco marito di lei.

Questa in due parole la trama di un film che viene raccontato, come tipico di Almodovar, tra furiosi avanti e indietro nel tempo, racconti nei racconti e film nei film. Una storia scomposta in mille quadri che ricomporranno alla fine (ma senza colpi di scena) il racconto più grande.

Stavolta però la maestria almodovariana fallisce proprio là dove è sempre stata potente, sul sentimentalismo. La storia d'amore impossibile, funestata da una presenza ingombrante in Gli abbracci spezzati non trova quella passione autentica che negli altri film faceva piangere le signore e sciogliere i signori. Ci sono le consuete immagini mostruosamente costruite, le solite idee di messa in scena geniali e il solito riferire a se stesso, al cinema e al suo cinema ma il sentimento dei protagonisti non è credibile.

E non è colpa della trama, in grado di controllatissimi voli acrobatici, come sempre poco plausibile ma magnificamente raccontata in modo da farcelo dimenticare e piena di scene madre formidabili (Lena che doppia se stessa come nel citatissimo Donne sull'orlo di una crisi di nervi, l'amplesso soffocante sotto le coperte), non è colpa della fotografia esplosiva nè degli attori impeccabili. Stavolta sembra che Pedro abbia ceduto al lato oscuro di se stesso, al suo amore per se stesso e per le cose che fa.

Molti registi girano il cinema che vorrebbero vedere, ma nessuno come Pedro sembra perfezionare al cinema quelle storie che ha vissuto, di cui ha letto o che ha visto da altre parti in modo che siano "la vita senza noia" come diceva Hitchcock e con quel guizzo in più che gli dà il melodramma. Stavolta questa tendenza deborda, causando un eccesso di manierismi e una concentrazione sugli almodovarismi più che sull'essere Almodovar. E' come se il regista imitasse se stesso senza cogliere la propria essenza, che, nonostante le furiose costruzioni dei suoi capolavori è di una semplicità disarmante e si riassume in poche scene madri sorrette da impianti calibrati al millimetro per renderle indimenticabili. Qui purtroppo quelle scene sono dimenticabili.

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Voto degli utenti: 6,5/10 in media su 4 voti.
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alexmn 6/10

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