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8/10

Matador regia di Pedro Almodovar

Thriller
recensione di Valerio Zoppellaro

Un ex torero e un avvocatessa s’incontrano e si amano, uccidendosi nel momento del piacere, in un melodramma corale firmato da Pedro Almodovar.

Matador si caratterizza per l’assoluta assenza di un protagonista, visto che il personaggio di Angel, interpretato da un giovanissimo Antonio Banderas finisce via con il defilarsi dietro la fatal passione che unisce Diego (Nacho Martinez) e Maria (Assumpta Serna). Il finale dell’opera è fortemente esplicativo con il raggiungimento della morte nel momento dell’ orgasmo in una perfetta sintesi  delle due forze attrattive che caratterizzano il film. Il rapporto  che unisce Diego e Maria è fatale e incontrollato e può essere definito come una sorta di amore verso l’eternità della morte che li spinge a raggiungere insieme il loro fine ultimo più alto. Diego ama in modo viscerale il pericolo e  per questo ha scelto di fare il Matador, rischiando di rimanere ucciso durante una corrida. Lo spettatore non sa se questo episodio sia stato la causa della sua attrazione nei confronti della morte, ma è chiaro come egli sia ossessionato da quell’ episodio poiché  guarda ripetutamente le scene dell’ incidente. Più complicata la perversione di Maria, che sceglie di fare da avvocato ad Angel per poter finalmente avvicinare l’uomo che ha tanto idolatrato. Non si capisce se inizialmente lei lo voglia uccidere realmente, come aveva fatto con gli uomini incontrati precedentemente, o punti al raggiungimento dell’apoteosi del piacere.  Indubbiamente la loro folle relazione è “su un piano diverso” come prova a spiegare il Matador alla bellissima ex fidanzata Eva (Eva Cobo), terribilmente ingenua nel suo amore adolescenziale. In tutto questo si inserisce il personaggio di Angel, che vede in Diego il padre che avrebbe voluto avere e per questo si assume la responsabilità di tutti i suoi delitti. La colpa è l’elemento centrale della fragilissima personalità del giovane, sottomesso alla madre fervente sostenitrice dell’Opus Dei e capace di far esprimere lo spirito materno delle donne che lo circondano. Infatti Eva non lo denuncerà, Maria si mostrerà in qualche modo attratta da lui e la psichiatra che lo ha in cura arriverà addirittura ad amarlo in un modo quasi puerile. Un altro aspetto paradossale dell’ opera è il paragone tra la madre di Angel e quella di Eva con la prima estremamente bacchettona e castrante, la seconda allegra e logorroica, ma non meno asfissiante nella sua presenza nella vita della figlia. Merita poi un capitolo a parte il commissario dal volto umano, interpretato da Eusebio Poncela, onesto intellettualmente nella sua ricerca della verità e nel riconoscere le sue simpatie.

Almodovar regala i consueti aspetti colorati e provocatori che caratterizzano i suoi film degli anni ‘80, suggellando il tutto con un’ apparizione assolutamente fuor di contesto in cui sembra ritornare a Pepi, Luci, Bom e le ragazze del mucchio. Non manca però un certo lirismo in quest’opera atipica, con la scelta di ambientare la morte dei due protagonisti nel momento di un’ eclissi, con i due corpi abbandonati nel letto che riportano a una natura morta. Nel complesso un thriller sui generis, ben fatto e godibile, che anticipa di due anni Donne sull’ orlo di una crisi di nerviindubbiamente la sintesi più efficace della prima parte della carriera del regista castigliano.

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