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R Recensione

4/10

L'ultima volta che vidi Macao regia di João Pedro Rodriguez, João Rui Guerra da Mata

Docu-fiction
recensione di Alessandro Giovannini

Un tizio torna a Macao, paese natìo, dopo trent'anni, a seguito dell'e-mail dell'amico transessuale Candy che gli chiede aiuto. La ricerca di Candy diventa un vagabondaggio per lo spaesante paesaggio di questa città.

La storia è una scusa per realizzare un documentario sui generis su questa particolare città, dominio portoghese dal 1557 fino al 1999, divenuta poi parte della Repubblica Popolare Cinese. Crocevia di popoli e culture, Macao è ripresa dalla telecamera dei due registi portoghesi con stupore ed un senso di magico mistero. La tecnica narrativa è interessante: il personaggio protagonista è sempre fuori campo, e la sua voice over è la voce narrante: ci parla della sua vicenda ma anche della città in generale, con una dinamica che ai videogiocatori può ricordare quella di un punta e clicca in  prima persona. Le inquadrature divengono così o false soggettive o visioni totalmente slegate da un punto di vista specifico, alternativamente dentro e fuori dalla storia raccontata. Anche la strutttura rigidamente impostata (sequenze di voice over che sviluppano la storia alternate a lunghi silenzi con riprese d'ambiente) ricorda una dinamica meccanica come quella dei vecchi giochi divisi in livelli, con filmati in full motion video fra una missione e l'altra.

La figura umana è quasi del tutto abolita, inquadrata parzialmente e di sfuggita (se si eccettua la sequenza iniziale, che comunque è in penombra), quasi come se Macao fosse popolata di fantasmi, di suggestioni più che di incarnazioni. Purtroppo questo stile originale non ripaga l'attesa dello spettatore: l'equilibrio apparente fra la componente d'intreccio e quella documentaristica fallisce in entrambi gli aspetti: per  quanto riguarda la narrazione, essa è lentissima, volutamente lacunosa e criptica (con derive quasi soprannaturali), inconcludente. Il secondo versante è troppo limitato da estetiche convenzionali (paesaggi da cartolina alternati a dettagli di oggetti quotidiani), per fortuna riscattate dalle bellezze naturali ed architettoniche del luogo.

L'intento è chiaramente quello di restituire una sensazione più che un resoconto realistico: un'impressione estetica ed un'impronta emozionale dal sapore mistico, un racconto interculturale che aliena Macao da qualsiasi coordinata geopolitica ed etnolinguistica. Il risultato è però fallimentare, traducentesi in un'ora e mezza che sembra non passare mai, persa in un interminabile showreel di belle immagini e suoni ovattati.

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giuliabramati alle 13:28 del 12 febbraio 2013 ha scritto:

concordo con la tua recensione, Alessandro. Il film sembra promettente i primi 15 minuti, ma poi non riesce a catturare l'interesse dello spettatore. La fine è assurda e deludente