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8/10

Bright Star regia di Jane Campion

Drammatico
recensione di Gabriele Niola

L'ultimo periodo della vita di John Keats è stato all'insegna di una progressiva discesa nell'inferno della malattia, della povertà e nel gorgo dell'amore insaziabile e insaziato per la donna che è stata la sua musa e che ha ispirato le sue poesie. La storia parte e segue proprio lei, nel suo progressivo innamorarsi e stare accanto al poeta che non poteva sposare (a causa dell'indigenza di lui che rendeva di fatto impensabile un matrimonio).

Che a Jane Campion piacesse indagare il modo in cui arte e amore comunichino e si nutrano l'una dell'altro lo si era capito da Lezioni di Piano, come si era capito il suo amore per le figure umane ottocentesche incastrate in totali panoramici che li vedono come formiche che si muovono in vaste lande. Si era anche capita una certa avversione nei confronti delle bambine, presenze fastidiose, oppressive, incoscienti e tutt'altro che innocenti e per i dettagli che rivelano il mondo interiore.

Questo per dire che Bright Star non è un remake di Lezioni di Piano ma la continuazione della poetica partita con quel (meraviglioso) film. La musica era il pianoforte e qui la poesia sono le parole sulla carta, metonimia essenziale nell'universo simbolico della regista, dettagli sui quali si insiste con delle macro splendide: la penna che verga un foglio o le piccole buste che portano poche significative parole e infine l'inchiostro che macchia le dita.

Il cinema intimista è solitamente di preferenza femminile e probabilmente Bright Star non farà eccezioni, visto il modo in cui scava dentro i sentimenti senza che ad essi corrisponda  un'azione (succede anche meno che in Lezioni di Piano). Esiste tuttavia anche un altro piano del racconto, appassionante quanto la distensione dei sentimenti, ed è la quotidianità del periodo narrato, cioè il lento dispiegarsi dei giorni, la noia delle mille piccole attività che inquadrano una vita in cui la centralità non può essere che sentimentale. L'alternativa sono le passeggiate, i pic-nic, tirare i sassi nel lago, improvvisare balletti e via dicendo, tutte cose sulle quali la regista non manca di indugiare e non manca di mostrare con un occhio tra il disperato e il sognante. Tutto finalizzato sempre e solo ad una cosa sola: raccontare i sentimenti. Come un'ossessione questa mania pervade Jane Campion e rende i suoi film forse i più ragionevoli tra quelli sentimentali.

Colonna sonora quasi inesistente (e come fare altrimenti dato l'impensabile paragone con quella dell'omologo precedente?) e una grande attenzione al sound design. Se cinema intimista deve essere che sia così: attento non alla trama ma al dettaglio, alle macro, ai suoni, ai mille piccoli ricami (reali o metaforici) della protagonista e a tutti quei particolari nei quali appunto si annida quel sentimento che solo in certi momenti sfocia nella parola.

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 1 voto.
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alexmn 5/10

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