Venere in Visone regia di Daniel Mann
MelodrammaGloria Wandrous, prostituta di lusso a New York, si impadronisce della costosa pelliccia di proprietà della moglie dell’ultimo dei suoi amanti, il prestigioso avvocato Weston Ligget, del quale si è innamorata. Egli la accusa di essere una cinica approfittatrice e la umilia pubblicamente, così Gloria decide di abbandonare la città, ma, inseguita dall’uomo, andrà incontro ad una tragica fine.
Daniel Mann, già regista de La Rosa tatuata (1956), si impegna ad adattare per il grande schermo l’omonimo romanzo di John O’Hara, questa volta avendo come attrice principale Elizabeth Taylor.
La storia, il cui titolo originale (Butterfield 8) allude al numero telefonico usato dalla protagonista a Manhattan, si basa sul caso, rimasto irrisolto, della morte di Starr Faithfull, prostituta di alto borgo il cui cadavere venne rinvenuto nel 1931 sulla spiaggia di Long Island. Il luttuoso evento fu preso a spunto per il romanzo del 1935, trasformato in film nel 1960. La Taylor accettò il ruolo esclusivamente per onorare i termini contrattuali con la MGM, ritenendo la storia di cattivo gusto e dichiarando l’assoluta immoralità del suo personaggio. Nonostante ciò, l’attrice riuscì a conferire coerenza umana e credibilità all’isterismo del suo personaggio: indossando sensuali sottovesti e tacchi a spillo, Elizabeth Taylor impersona Gloria, modella la cui vita dissoluta la fa divenire presto una prostituta per uomini ricchi, ultimo dei quali il rampante Weston Liggett (Laurence Harevey). Gli incontri con l’amante vengono organizzati per telefono, chiamando il Butterfield 8, da casa della madre, frustrata ma silente sulla vita immorale della figlia, la quale trova conforto e comprensione nell’amico fraterno Steve (Eddie Fisher). Gloria si impadronisce della pelliccia di visone della moglie di Liggett e, dopo essere stata insultata in pubblico, si rende conto che l’uomo, pur ricoprendola di regali e di denaro, non divorzierà mai: così quello che sembrava essere il primo amore della sua vita finisce per essere l’ennesima illusione per la protagonista, che decide di fuggire. L’uomo, però, riesce a scovarla e la invita a tornare con lui; dopo un momento di debolezza, inizia la fuga disperata che porta Gloria alla morte in un dirupo.
Sebbene le riprese, effettuate interamente a New York, vissero un clima di perenne tensione dovuto alla pessima disposizione d’animo della Taylor, che nel frattempo si ammalò di polmonite e fu sottoposta ad una tracheotomia d’urgenza, ciò non significò una scarsa prestazione dell’attrice; anzi, il film riesce ad essere misterioso e tiepidamente erotico, soprattutto grazie alla presenza scenica e al magnetismo della stessa Taylor, la cui tecnica espressiva la rende superba in almeno due scene (quella iniziale del risveglio nell’appartamento di Liggett esalta, non solo la sua femminilità, ma anche la sua vibrante sensibilità). Il ritratto caloroso e passionale del personaggio di Gloria le valse il premio Oscar come migliore attrice protagonista nel 1961 e la malattia riscattò completamente la diva “rovina famiglie”, che aveva sottratto il marito (Eddie Fisher) alla sua migliore amica (Debbie Reynolds), agli occhi del pubblico. Buona anche la prova di Laurence Harvey, attore spesso dimenticato e scomparso troppo presto, che incontrerà nuovamente la partner nel 1973 sul set de Ad un’ora della notte.
Nel complesso il film, sebbene non raggiunga livelli di pathos eccezionali e presenti un finale ambiguo e moralizzante, è interessante, ben recitato e volutamente provocatorio; tuttavia, la storia della prostituta che, incontrato il primo amore ormai sposato, è alla ricerca di redenzione e rispetto, poteva essere affrontata dando maggior peso al passato della donna e ad una più ricca introspezione psicologica dei personaggi. Ad ogni modo, Venere in visone si rivelò un grande successo commerciale (record di incassi nel 1961) e consacrò Elizabeth Taylor come attrice di grande intelligenza e sensibilità.
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