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R Recensione

5/10

Chéri regia di Stephen Frears

Drammatico
recensione di Alessandro Pascale

L'affascinante e sofisticata cortigiana Lea de Lonval decide di prendersi cura del viziato e vanitoso Fred Peloux, detto Chéri, figlio dell'amica di lunga data Madame Charlotte Peloux, anch'essa una ricca cortigiana dell’alta società parigina. Nonostante la notevole differenza d'età, tra Lea e Chéri scoppia la passione, che si rivelerà tormentata. Infatti la madre di lui ha ben altri piani per il figlio, che vuole far sposare con la giovane Edmée, la figlia di un’altra ricca cortigiana.

Forse ci eravamo abituati troppo bene ma Chéri appare una caduta davvero inaspettata per Stephen Frears. Quanto meno dopo quel piccolo gioiellino che è stato The Queen era doveroso attendersi di più. Aveva accumulato talmente tanto credito da non destare troppo sospetto nemmeno di fronte ad un trailer ed una trama alquanto stucchevoli e fin dal primo sguardo banalotti.

Il grosso problema di Chéri appare infatti proprio questo: il contenuto. Dov’è il contenuto? Cosa vuol dire qui il nostro autore? Vuole davvero solo affermare che di fronte al vuoto di un’epoca in cui domina sempre più il lusso ed il benessere (la Belle Epoque) l’unica àncora a cui ci si può aggrappare per dare un senso alla vita sia per forza di cose l’amore? E che banalità è mai questa? Si fa davvero fatica a tracciare un quadro degno di nota per un film che al di là delle possibili interpretazioni di un sottotesto molto nascosto (la decadenza dell’alta borghesia? Il disfacimento delle convenzioni sociali ottocentesche in onore ad un sentimento più elevato? Lo spleen ennuyant in cui cadono le classi dominanti in tempi di pace, incapaci di aggrapparsi a forti valori e virtù? L’avanzare di un individualismo sempre più capriccioso e insofferente di ogni tipo di restrizione sociale o culturale?) appare in realtà tremendamente vuoto.

Nient’altro in realtà che il classico triangolo amoroso: lui (Chéri, alias Rupert Friend), lei (Lea de Lonval, alias Michelle Pfeiffer), l’altra (Edmee, alias Felicity Jones). Solo che qui lui è un giovane cascamorto, lei una cortigiana in pensione e sul viale del tramonto, l’altra la moglie “ufficiale” e burocratica cui lui deve conformarsi per far contenta la madre. La trama ve la potete immaginare da soli, anche perché davvero non c’è nessun evento degno di nota che faccia smuovere lo spettatore. I fatti accadono anzi con una tale semplicità e consequenzialità da apparire totalmente privi di approfondimento psicologico e quindi estremamente costruiti e fittizi. Come descrivere infatti “l’approccio” con cui il ragazzino conquista la dama che gli ricorda d’averlo visto crescere?

In realtà il vero motivo di interesse di Chéri è la scenografia e l’attenzione per i costumi, che riescono a ricreare perfettamente l’atmosfera della Londra aristocratica della Belle Epoque. Il risultato quindi è che ci troviamo un film che appare come una scatola splendidamente ricoperta da un panno di soffice seta orientale. Ma all’interno della scatola non vi è niente. Bella fuori, vuota dentro, ecco com’è Chéri. Più che una scatola un pacco. Non c’è nemmeno bisogno di scomodare l’assenza del mondo reale per determinare l’assenza di contenuti, in quanto perfino un film come The Queen evidenziava la possibilità di affascinare pur concentrandosi sui piccoli eventi quotidiani di una ristretta élite di potere.

Qui manca proprio la sostanza, per cui il mio j’accuse andrà a colpire non solo l’ultrasettantenne Frears (che mai come in questo caso mostra tutti i limiti culturali della sua vecchiaia) ma anche e soprattutto lo sceneggiatore Christopher Hampton, che fallisce clamorosamente nel tentativo di riscrivere cinematograficamente l’opera letteraria della Colette, già in sé un romanzo alquanto salottifero (neologismo per delineare un misto tra salottiero e soporifero) e poco attraente. Si salvano le recitazioni di un buon cast, ma francamente è davvero troppo poco.  

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