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6/10

Le Nevi del Kilimangiaro regia di Henry King

Drammatico
recensione di Gloria Paparella

Il romanziere Harry Street, feritosi alla gamba durante una spedizione di caccia in Africa, ripercorre, in uno stato di semi-incoscienza, la sua vita, le sue ambizioni, i suoi amori: la prima moglie che pur amandolo lo aveva lasciato, la ricca contessa che aveva cercato di farlo suo, e l’attuale moglie che vorrebbe imparare ad amare completamente.

Ambiziosa trasposizione del capolavoro del 1938 di Ernest Hemingway, da cui il film è tratto, e di cui però è rimasto molto poco: Gregory Peck interpreta il ruolo del romanziere frustrato e cacciatore Harry Street che, moribondo all’ombra del Kilimangiaro, ripercorre i momenti più importanti della sua vita, le sue avventure e i suoi molti amori. Così con un fleshback spazio-temporale si rivede a Parigi, ad inizio carriera, insieme alla moglie Cynthia (Ava Gardner), unico vero amore della sua vita. Entrambi fanno parte di quella “generazione perduta” che vive e vaga per la città francese del primo dopoguerra e che ispira il titolo del primo libro dello scrittore. Insieme alla moglie, incinta e adorante, Street si reca in un safari in Africa, dove lei si impressiona e si sente male di fronte alla carneficina di animali; dopo aver perso volontariamente il figlio, Cynthia abbandona il marito, convinta di essere soltanto un peso per la sua creatività. I due si incontrano anni dopo in Spagna, durante la guerra civile, ma si riconciliano solo per un breve momento: ferita mortalmente da una bomba, la donna afferma: “Sto morendo, eppure, se tu mi tocchi, mi sento girare la testa”. In seguito, Street, che è diventato facoltoso e ha lasciato una ricca contessa francese che aveva sedotto, torna a fare un safari con la sua seconda moglie, Helen (Susan Hayward) che in qualche modo le ricorda Cynthia. La donna, consapevole del tormento interiore del marito, farà di tutto per dargli coraggio e fargli ritrovare quella scintilla di vita che aveva perso anni prima.

Impreziosito da un cast eccezionale e da ambientazioni esotiche che spaziano dall’altopiano africano alla Parigi del 1920, dalle arene ai campi di battaglia spagnoli, il film è un melodramma languido, nel rispetto del gusto romanzesco più comune. Anche se il personaggio di Cynthia non compare nel racconto originale, Ernest Hemingway chiese alla Twentieth Century Fox di far lavorare la Gardner nella versione cinematografica de Le nevi del Kilimangiaro; così, lo sceneggiatore Casey Robinson riadattò il testo, scrivendo la parte apposta per l’attrice. Il suo è un personaggio condannato, ma sempre capace di affrontare il destino a muso duro, e magari ridendo in modo amaro: la parte è perfetta per la Gardner, che conferisce a Cynthia quella sensibilità, quella passione che ha fatto dell’attrice una diva internazionale. Gregory Peck riesce bene nel suo vittimismo, uomo ferito non solo alla gamba, ma anche nello spirito, scrittore che spreca il suo talento pubblicando romanzi banali; come eroe hemingwayano, però, l’attore non vale come il Tyrone Power de Il sole sorgerà ancora (migliore è la sua interpretazione in Passione selvaggia, sempre ispirato allo stesso autore, del 1947). Inoltre, nel racconto di Hemingway è implicito che il suo personaggio debba morire, mentre qui viene salvato in tempo dallo spirito pratico dell’attuale compagna. Susan Hayward, la seconda moglie appunto, è sempre l’interprete ideale di figure femminili forti e volitive, dalle notevoli doti drammatiche: Helen raccoglie tutto il suo coraggio e salva il marito, rianimando il suo spirito e donandogli tutto il suo amore.

Al di là delle prove interpretative degli attori, però, il film è poco coinvolgente sul piano emotivo, sebbene si parli d’amore e di sentimenti. È vero che quando il protagonista ritrova un’Ava Gardner in lacrime e morente nel campo di battaglia, il pathos aumenta e si spera in una riconciliazione definitiva; ma questo non avviene e si ritorna alla piattezza emotiva iniziale. Il commento musicale di Bernard Herrmann è decisamente superiore al dramma vero e proprio; in particolare, la scena nella quale Peck e la Gardner si incontrano a Parigi è sottolineata da una partitura jazzistica ricca di sensualità. Il regista Henry King, uomo collaudato, di grande esperienza, intuisce l’inconsistenza dei suoi personaggi e, in compenso, punta saggiamente la cinepresa sul superbo paesaggio africano e sui vicoli pittoreschi di Parigi, per cui i confusi e infelici protagonisti hanno almeno luoghi suggestivi in cui soffrire. Affascinante l’inizio del film e bella la similitudine (ovviamente creata da Hemingway) tra il leopardo, trovato morto in cima al Kilimangiaro, e Harry: chi dimentica i veri valori e cerca imprese impossibili, fa una brutta fine.

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