R Recensione

6/10

Woman in Gold regia di Simon Curtis

Drammatico
recensione di Giulia Betti

Maria Altmann (Helen MIrren) è una donna ebrea fuggita da Vienna poco dopo l’arrivo dei nazisti che, saccheggiando la sua abitazione, trafugarono un prezioso quadro di Gustav Klimt, la Donna in Oro, in seguito restituito al governo Austriaco. La coraggiosa donna 50 anni dopo decide di sfidare le autorità Austriache con l'aiuto di un giovane avvocato (Ryan Reynolds) per chiedere che le venga restituito ciò che era suo. Dopo Philomena un'altra straordinaria storia vera di una donna che lotta contro la burocrazia e le avversità con determinazione e ironia.

Uno dei geni musicali del ‘900, un certo Frank Zappa disse una volta che l’arte consiste nel fare qualcosa di nessun valore e in seguito di venderla, e vantando un parere simile al suo, anche un influente architetto statunitense, Frank Lloyd, qualche tempo prima, disse “se si vende, è arte”. Eppure, da pochi giorni siamo spettatori di una bufera mediatica esplosa sui social network e sui quotidiani che coinvolge il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro e il ministro dei beni, delle attività culturali e del turismo Dario Franceschini, proprio a causa della esposta intenzione di uno dei due, il primo cittadino della Serenissima appunto, di vendere una famosa opera d’arte, la Giuditta II di Klimt, per risanare i debiti della gloriosa Repubblica Marinara.

Tale circostanza, che come prevedibile ha scatenato indignazioni e selvaggi insulti assumendo una corposa mole informativa tra articoli, post, tweet, commenti, e video su youtube cade a “fagiuolo” per l’uscita al cinema di Woman in Gold, il prossimo 15 Ottobre 2015.

Woman in Gold, è il secondo ed ultimo lungometraggio cinematografico del talentuoso Simon Curtis, regista londinese che ci aveva rapiti appena quattro anni fa donandoci un meraviglioso ritratto della grande diva bionda ossigenata Marilyn Monroe, interpretata in tale circostanza da una impeccabile Michelle Williams, affiancata da grandi colleghi del calibro di Kenneth Branagh, Eddie Redmayne, Emma Watson e Judi Dench.

Il nuovo lavoro in questione, per ricollegarci alla felice coincidenza di poco sopra, racconta proprio l’avvincente storia di Maria Altmann, donna ebrea nata in una ricchissima famiglia viennese di mecenati d’arte e cresciuta nel lusso fino alla fatidica annessione dell’Austria al Terzo Reich, costretta a fuggire dal paese natale assieme al marito Fritz, per raggiungere prima l’Inghilterra e poi la California, dove visse per tutta la vita.

Maria, che da nubile faceva di cognome Bloch-Bauer, era proprio la nipote di quella famosa e bellissima Adele, modella tra le predilette dell’artista austriaco Gustav Klimt. Quest’ultima oltre ad essere un’apprezzata modella per l’artista era anche una grande dama della Vienna benestante, quella dei ricchissimi e lussuosi salotti. Adele e suo marito Ferdinand, prestigiose figure di rilievo soprattutto per la comunità ebrea, erano considerati veri e propri protettori delle arti. La loro casa, situata in una delle strade più signorili della città, Elisabethstrasse appunto, accoglieva ogni giorno intellettuali, artisti, letterati e compositori come Richard Strauss, Johannes Brahms e Gustav Mahler.  

La vicenda raccontata da Curtis è proprio l’eroica battaglia legale, meglio nota come “Republic of Austria v. Altmann” combattuta da Maria, interpretata da una brillante Helen Mirren, affiancata e rappresentata dal suo avvocato Randol Schoenberg, con il volto di Ryan Reynolds, contro la terra natale per riottenere quei quadri di Klimt, appartenuti alla sua famiglia e trafugati dai nazisti durante gli anni d’oro di Hitler, i quali poi, al tramonto della malata ideologia tedesca, erano giunti a far parte delle collezioni del Belvedere Palace di Vienna che ne aveva rivendicato il possesso illegalmente.

Si sa che quando l’opera prima ottiene un grandioso successo di pubblico e di critica, sperare di replicare mettendo in cantiere un secondo film è sempre sinonimo di ansia, preoccupazione, e sfiducia. Simon Curtis, che prima di debuttare nel grande schermo aveva allenato le sue doti registiche lavorando per la televisione, decide di donare eternità ed artisticità ad una vicenda come quella soprariassunta, sfidando talento (che di certo non manca), casualità (imprevedibile per natura) e gusti del pubblico (quanto mai prima avvezzo al giudizio negativo) sempre più teso a criticare che ad apprezzare.

La materia del film non è pasta facile, gli ingredienti sono pericolosi, si rischia di annoiare, si rischia di apparire contorti ed eccessivamente prolissi, si rischia di incombere in molte avversità, ma allo stesso tempo si sfrutta l’opportunità di far mostra di coraggio e deduzione.

Curtis, infatti, pare aver capito che ciò di cui la società odierna necessita, è proprio ricordare il passato e non dimenticarlo, per garantirsi un futuro migliore ed un presente degno di essere vissuto. La tragica vicenda della Altmann tira in ballo la seconda guerra mondiale, il Nazismo, l’Olocausto, la storia dell’arte e la vicenda degli scippi delle opere comandata da Hitler, una tematica sfruttata non molto tempo fa e con non troppo successo da George Clooney in Monuments Man.

Woman in Gold vanta un’ottima regia, una fotografia di pari livello, costumi, trucco, e scenografie degne di nota, per non parlare della colonna sonora originale di Martin Phipps e Hans Zimmer, premio Oscar per Il Re Leone, e nominato all’Oscar per le colonne sonore di Rain-Man, La sottile linea rossa, Il gladiatore, Sherlock Holmes, Inception ed Interstellar, un cast superbo e una vicenda interessante, eppure, contrariamente a quanto afferma Aristotele, in questa occasione il tutto non riesce ad essere superiore alla somma delle parti.

Woman in Gold è un bel film, ma non è un film “Bello”, di quelli che non si può non conoscere, che vantano scene memorabili e che producono fenomeni culturali. È un film piacevole e godibilissimo, ma dimenticabile. Ahimè.

 

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