R Recensione

8/10

Io sono Ingrid regia di Stig Björkman

Documentario
recensione di Giulia Betti

Nella primavera del 2011, il regista Stig Björkman conobbe la figlia di Ingrid Bergman: Isabella Rossellini. Lei suggerì di "fare un film su Mamma" e così, tramite Isabella, Stig riuscì a raccontare la storia di Ingrid con le sue parole e le immagini di film da lei girati. Attraverso le sue riprese private, i suoi appunti, le lettere, i diarie e le interviste con i suoi figli e amici il documentario presenta un quadro mai visto prima della vita dietro le quinte di una giovane donna svedese che diventò una delle più celebrate attrici del cinema Americano e mondiale.

 

“Terrò stretto questo diario e lo nasconderò per sempre. Ho quattordici anni, due mesi e tre giorni. Sono nata il 29 Agosto 1915. Fui battezzata Ingrid. Ero vivace, irritante, testarda e selvaggia”

Il documentario che Stig Björkman, scrittore e critico cinematografico svedese, dedica a Ingrid Bergman, oltre ad essere un’opera densa di amorevoli riguardi che tradiscono la venerazione dell’autore conterraneo, dei familiari e degli amici e colleghi nei confronti della meravigliosa attrice glaciale e bollente, è anche un prezioso spunto di riflessione per e sulla società odierna.

La realizzazione di questo gioiellino documentaristico è stata possibile solo grazie alla devozione che Ingrid ha avuto per tutta la vita nel catturare il mondo attraverso un obbiettivo, e nell’imprimerlo nel ricordo con l’inchiostro immortale sulla carta da lettere.

La statuaria attrice, dalle “gambe interminabili, seni granitici, piedi giganti e dita chilometriche”, come la ricorda Paola Casella, immortalava ogni momento della propria esistenza attraverso filmini e fotografie. “Era il suo modo di trovare le radici” azzarda la figlia Isabella, anche se lo stile di vita seminomade della madre fa trapelare più una esigenza di libertà che di una vera e propria immissione di fondamenta stabili e perenni.

La sua esigenza di catturare l’istante, appare più simile alla brama procacciatrice e fiutatrice del collezionista incallito di oggetti “sacri”... che siano francobolli, figurine, reliquie, vecchi vinili o ricordi di vita vissuta.

Questo omaggio, realizzato in onore dei cento anni dalla nascita della Bergman per rispondere al desiderio espresso dalla figlia Isabella di dare un senso ai materni tranche de vie accumulati col tempo, ci pone di fronte ad una sconcertante realtà: oggi nessuno si preoccupa più del presente, prediligendo porgere le proprie attenzioni rimpiangendo il passato e maledicendo il futuro, prevedendolo già disastroso e deludente. Nessuno più filma la vita, la propria e quella dei cari, nessuno più fotografa il mondo, l’obbiettivo individuale è sempre posizionato verso l’individuo stesso, incastrandone la patetica smorfia ripetitiva in una inquadratura che ne impedisce la contestualizzazione nell’ampia realtà. L’autocentrismo sconcertate che percorre vallate e marciapiedi, figlio dei social network e della vanità, sinonimo di disautostima e pochezza interiore, è ciò che oggi ci rende esperti selfisti, zimbelli del web e padroni di “polvere di stalle”.

Ammirare le foto, gli home video, i backstage, i provini, le interviste e le premiazioni della diva “trasparentemente pulita”, come l’appellò Montanelli, ci fa sentire dimenticabili ed inutili. Ci viene voglia di alzare la mano e chiedere la parola per dire “ci sono anche io, faccio il bidello, perché non filmate me? Ho pure io qualche vecchio filmino del matrimonio e di un paio di vacanze, ci si può imbastire un bel documentario, no?”.

È proprio la nostra esigenza di essere visti, per convincerci della nostra esistenza, che ha nutrito i peggiori social network e i più ridicoli reality, talent, e talk show, nonché i brutti video virali rintracciabili su youtube o su qualche suo pessimo surrogato.

Ed è ciò che rende differenti i nostri inflazionati ricordi da quelli preziosi di Ingrid, la “motivazione” che ci spinge a surgelarli. Noi nativi digitali lo facciamo per “rimanere su piazza”, per palesare la nostra esistenza, per renderci interessanti, per lasciarci invidiare, per farci guardare sotto la gonna. Ingrid lo faceva per se stessa, per godere di quella vita che ha saputo costruirsi con il sudore, battendosi contro un destino ostile che le ha strappato due genitori giovani ed amorevoli, ma che l’ha pure eletta, salvandola, dopo aver sacrificato i suoi due fratellini maggiori morti alla nascita, come colei che doveva vivere, doveva diventare e

doveva essere una grande persona.

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