R Recensione

7/10

Pan regia di Joe Wright

Avventura
recensione di Giulia Betti

Peter è un dodicenne biricchino con una insopprimibile vena ribelle, ma nel triste orfanotrofio di Londra dove ha vissuto tutta la vita queste qualità non sono ben viste. In una notte incredibile Peter viene trasportato dall'orfanotrofio dentro un mondo fantastico, popolato da pirati, guerrieri e fate, chiamato Neverland. E lì si ritrova a vivere straordinarie avventure e a combattere battaglie all'ultimo sangue nel tentativo si svelare l'identità segreta di sua madre, che lo aveva abbandonato tanto tempo prima, ed anche il suo posto in questa terra magica. In una squadra formata dalla guerriera Giglio Tigrato e dal suo nuovo amico di nome James Hook, Peter deve sconfiggere lo spietato pirata Barbanera per salvare Neverland e scoprire il suo vero destino, diventare l'eroe che sarà conosciuto per sempre con il nome di Peter Pan.

È sempre necessario essere severi? A mio parere no, specialmente quando un lavoro è ben fatto, pur non risultando un capolavoro. Basterebbe dire: buono ma non eccellente. Un film ideale per passare una domenica al cinema con la propria famiglia, gustoso per i grandi e per i piccini, ma certo non il nuovo Avatar.

E invece ciò non accade, si addizionano ogni giorno nuove recensioni malevole e spocchiose nei confronti dell’ultimo lavoro di Joe Wright, il regista che tre anni fa ci ha letteralmente incantati con il suo Anna Karenina, e che oggi è in sala con una coraggiosa rivisitazione di Peter Pan.

Utilizzo il termine coraggiosa poiché si sa che quando si parte da una storia non originale per fare un film, magari tratta da un romanzo, da un racconto, da una fiaba, o addirittura da un’altra opera cinematografica si corre sempre il rischio di essere schiacciati dalle critiche dei fanatici dell’originale, che munitosi di pregiudizi e permalosità, affrontano il nuovo prodotto come fosse una violenza, un oltraggio ed una negazione del vecchio.

Lungi da me fare paragoni con i precedenti lavori “peterpanici” di Herbert Brenon, Walt Disney, Steven Spielberg, P.J Hogan e Nick Willing, così come eviterò pure di parlare delle nuove rivisitazioni fiabesche per adulti, cito Maleficent, Biancaneve e il cacciatore, Hansel & Gretel, Alice in Wonderland e perché no, pure Pinocchio di Benigni. Perchè? Ma perché i paragoni in casi come questi, servono a ben poco. Stiamo parlando di tentativi che l’ottanta per cento delle volte non attecchiscono, poiché o deludono le aspettative, o le confermano troppo.

Il film di Wright è costato centocinquanta milioni di dollari, e si presume che ne perderà i due terzi. Un altro mega flop nella storia del cinema, determinato non dalla qualità del film, ma da alcuni fattori come la “ripetitività”, tutti conoscono la storia di Peter Pan e non hanno voglia di guardarsi per l’ennesima volta un film di cui conoscono già il finale (ma lo sanno che quella momentaneamente sugli schermi è una storia totalmente diversa?) dalla “categorizzazione”, quella che ci fa presupporre che sarà l’ennesima sbobba americana, con bambocci mascherati e mostri marini tridimensionali, oppure il solito "pippone" per ragazzini dove il bene vince ed il male perde (ma lo sanno che ad un certo punto del film esplodono nell’aria le canzoni dei Ramones e dei Nirvana?) ed in ultimo la “influensizzazione”, neologismo del quale mi prendo ogni colpa e merito, ma che ritengo adatto per trasmettervi il tragico fenomeno della credulità, e del passaparola. Tutti sanno che è una "ciofeca" perché lo hanno sentito dire da qualcuno che ha visto solo il trailer o che ugualmente lo ha sentito dire da qualcun altro che lo ha letto in una recensione di un critico che si è recato lì già prevenuto e pure un po’ indignato, poiché all’anteprima erano state invitate pure famiglie con bambini sgranocchiatori di popcorn, ed emittenti risate e gridolini di stupore anti-concentrazione.

Eppure a me, e forse a qualche giornalista attento all’atmosfera suscitata dall’opera e non solo alla sua proiezione sullo schermo, hanno fatto molto comodo quelle risate e quei gridolini, perché ho ben inteso che ai bambini, o per lo meno a quelli in sala, il film non è affatto dispiaciuto.

Partendo dal presupposto che le accuse lanciatigli sono state quelle di aver abbozzato un ibrido, con l’intento di raccogliere consensi tanto dal pubblico più giovane quanto da quello più adulto e aver fallito in entrambe le occasioni, la prima cosa che mi viene in mente è che queste considerazioni sconsiderate siano semplicemente la scia delle critiche già ricevute dal film oltreoceano, naturalmente negative e magari plausibili, ma che in Italia, in paragone, rispetto alla qualità, con gli altri film “non di nicchia” in sala in questo momento Pan di certo non si configura fra gli ultimi, vi ricordo che abbiamo prodotti ben più scadenti come Belli di papà, Matrimonio al Sud, e prossimamente pure Nè Romeo né Giulietta della Pivetti, nonché film d’oltreoceano quasi inutili (non per i temi, ma per le realizzazioni) come Freeheld e Rock the Kashba.

Pan non è perfetto, non vanta una sceneggiatura da togliere il fiato e neppure degli effetti speciali diversi da ciò a cui siamo abituati di solito, non ha la presunzione di essere novità, come è stato Avatar, né di essere “allucinante” o “stupefacente” come Alice e La fabbrica di cioccolato, entrambi di Tim Burton, neppure poetico come il Pinocchio di Benigni, tantomeno “stravolgigenere” come Hansel & Gretel - Cacciatori di streghe, ma di una cosa gli va dato il merito, quello di aver inserito all’interno della fiaba, dei temi tanto storici, quanto attuali: lo sfruttamento dei “dimenticati”, orfani di genitori nel film, ma simbolicamente orfani di patria, privi di legami con il mondo occidentale (la terra), costretti al lavoro e alla tortura sin dalla giovanissima età in un pianeta del quale nessuno conosce o contempla l’esistenza (l’isola che non c’è come i paesi del terzo mondo). Un luogo dimenticato da Dio e da tutti, dove i potenti, i tiranni, i villains costringono con la frusta il lavoro in miniera alla ricerca d’un filtro della giovinezza, per assecondare l’esigenze, i vizi, i desideri futili d’un uomo solo (la piccola percentuale della popolazione mondiale che vive dello sfruttamento di molti).

Quell’uomo malvagio che pure è pronto a distruggere un’ intera civiltà e la sua terra (gli indiani-indigeni) pur d’ottenere quelle gemme preziose…. una vera e propria caccia all’oro (ci ricorda forse qualche cosa?). Si esatto, ci viene subito in mente il capolavoro di Cameron, ma pure Pocahontas, e mille altre storie, ma sopratutto ci viene in mente un processo sociale che avviene in loop dalla notte dei tempi e che non fa mai male riportare sul grande schermo, soprattutto quello rivolto ai più piccini, che se prevediamo di un età media di dodici anni, comunque quando è uscito Avatar erano troppo ingenui per capire e fare paragoni, per non tirare in ballo il film d’animazione Pocahontas che è del 1995.

Concludendo, il film vale la pena di essere visto per la bellezza dei costumi, per alcune scene particolarmente efficaci (la razzia degli orfani dal tetto per mano dei pirati, ad esempio), l’originale uso dei colori, le ambientazioni, la recitazione degli attori, e la scelta d’uno spazio tempo "galleggiante" per l’isola che non c’è (se Barbanera canta le canzoni dei Ramones e dei Nirvana pare che abbia vissuto la sua giovinezza negli anni ‘80, ‘90, e che poi, ma questa è solo la mia interpretazione, sia giunto ad essere ciò che è, ergendosi a capo d’un mondo postapocalittico in grado di raggiungere attraverso una porta spazio temporale, mondi paralleli immersi in epoche antecedenti).

La cosa bella delle fiabe, è che lasciano spazio all’interpretazione.

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