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6/10

Guilty of Romance regia di Shion Sono

Thriller
recensione di Alessandro Giovannini

La detective Kazuko (Miki Mizuno) arriva sul luogo di un orrendo delitto, in una baracca nel distretto a luci rosse di Tokyo: un manichino femminile vestito da scolaretta è costituito in parte da pezzi umani. per terra c'è un altro manichino, anch'esso in parte fatto di carne: chi e quante sono le vittime? Possono essere collegate alla recente sparizione di due donne, la casalinga Izumi (Megumi Kagurazaka) e l'assistente professoressa universitaria Mitsuko (Makoto Togashi)?

Ultimo episodio della "trilogia dell'odio", così definita dallo stesso Sono, iniziata da Love Exposure e proseguita da Cold Fish. Curioso che ben due film della trilogia dell'odio abbiano nel titolo un richiamo all'amore? Citando un famoso stralcio di Miike Takashi "più grande è l'amore, più aumenta la violenza", ed il trittico del regista giapponese sembra confermare.

Tre donne, tre differenti stati mentali: la detective, la più mascolina delle tre, rappresenta la razionalità più pragmatica; lontana da ogni femminilità, estranea a qualunque caratterizzazione seduttiva, rappresenta la ragione che districa il mistero; al suo opposto troviamo Mitsuko, la prostituta senza vergogna, l'erotismo più ostentatamente esibito, nonché la follia totale, il massimo distanziamento dalla razionalità dell'altro modello femminile. In mezzo la figura baricentri di Izumi, che passa da un estremo all'altro, dal massimo della purezza al massimo della depravazione, dal massimo della razionalità al massimo della follia.

Un percorso quasi del tutto femminile, come Cold Fish era quasi tutto maschile e come Love Exposure risulta equamente distribuito. Nel cinema di Sion Sono insomma si ravvisano schemi e simmetrie, tutt'altro che apparenti ad una prima visione. Tanto più che lo stile registico tipico del genio nipponico (scheggiatura ingarbugliata con continui colpi di scena, montaggio ellittico con continui spostamenti temporali, travalicazione di qualsivoglia confine di genere) è ben presente anche in questo lungometraggio.

Non tutto funziona a pieni giri stavolta, manca un po' di ritmo e forse per la prima volta la sceneggiatura pecca di una certa soglia di prevedibilità. Il film vanta comunque un'eccellente prova attoriale delle protagoniste, ed una sempre ottima regia, meno esagitata del solito. Sono costruisce il suo film in toni kubrickiani (per certi versi il film richiama Eyes Wide Shut), sebbene più nella sostanza che nella forma; ma c'è anche un continuo ed esplicito rimando al Castello di Kafka, che simboleggia l'impossibilità degli individui di appagare i propri desideri.

Parecchie tematiche affrontate per una visione coinvolgente.

Esiste una versione estesa di 144minuti.

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