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6/10

Humandroid regia di Neill Blomkamp

Fantascienza
recensione di Pasquale D'Aiello

Dopo essere stato rapito da due criminali durante la nascita, Chappie diventa il figlio adottivo in una famiglia strana e disfunzionale. Chappie è straordinariamente dotato, unico nel suo genere, un prodigio. Oltre a tutto questo, è anche un robot.

Ambientato in un futuro prossimo, in cui le funzioni di polizia sono demandate ad efficientissimi robot antropomorfi. La società che produce i droidi, guidata dalla tostissima Michelle Bradley, cui presta il volto Sigurney Weaver, vede scontrarsi due ingegneri, autori di due progetti alternativi per la costruzione di robot tutori dell'ordine. Da un lato Deon Wilson giovane di buon cuore, amante dell'arte e della giustizia, interpretato da Dev Patel (già protagonista di The Millionaire di Danny Boyle, 2008), dall'altro Vincent Moore aggressivo ex militare, interpretato da Hugh Jackman (Wolverine nella saga di X-Men, 2000-2014). Tutto sembra procedere per il meglio fino a quando Deon non produrrà un nuovo tipo di software che potrebbe essere in grado di fornire una coscienza ai robot. In seguito ad alcune imprevedibili coincidenze verrà  prodotto un esemplare di robot dotato di una propria intelligenza autoadattativa, in grado di apprendere e valutare criticamente il proprio sapere, anche in funzione delle contrastanti nozioni morali che gli forniranno i suoi educatori. In breve si riprodurranno tutte le condizioni relazionali che legheranno il robot al suo creatore allo stesso modo in cui l'uomo guarda all'idea di dio. Dentro questa metafora si ripercorreranno le principali tappe del pensiero umano in merito alla relazione tra corpo e identità, struttura della coscienza, concetto di morte e di rinascita. E nel finale assisteremo alle personali risponste individuate da Neill Blomkamp, anche sceneggiatore del film, insieme a Terri Tatchell. Sebbene ci si trovi difronte ai classici elementi del cinema di Blomkamp, attraverso l'uso della metafora ambientata in un futuro più o meno distopico, assistiamo anche ad un innalzamento del livello delle questioni poste. Se in District 9 (2009) il tema centrale era il diritto di cittadinanza ed in Elysium (2013) era quello alla salute, qui la riflessione mira direttamente allo statuto umano. Lo stile narrativo che utilizza è un mix vertiginoso di registri che variano dal comico al drammatico, attraversando sfumature intermedie che, ripercorrendo topos dell'iconografia cinematografica, diventano anche citazione e riflessione metacinematografica. Purtroppo questa scala di toni non giova al film e ai suoi singoli elementi che appaiono indeboliti nell'accostamento. Anche l'intreccio, eccessivamente disinvolto e poco attento ai dettagli che dovrebbero calamitare credibilità sul racconto, sembra inadeguato a trattare temi così ambiziosi. La stessa struttura dei personaggi è frutto di un disegno alquanto bozzettistico che ben poco si adatta a passaggi cruciali che dovrebbero essere intensamente drammatici, come gli itinerari cristologici di sacrificio e resurrezione che i protagonisti intraprendono senza adeguata crescita ed evoluzione. Tenuto conto degli investimenti in effetti speciali (dietro c'è anche la Sony Picture Entertainment che non manca occasione di reclamizzare propri prodotti, insime a molti altri) e dell'originale creatività  dell'autore, il film avrebbe meritato una maggiore cura nello sviluppo della sceneggiatura. Ma nonostante questi limiti, resta un'operazione divertente e fruibile che non manca di lanciare spunti di riflessione. Da segnalare che in questo caso il titolo italiano è più suggestivo di quello originale (Chappie) ma, proprio per questo, crea aspettative maggiori.

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tramblogy alle 11:34 del 18 aprile 2015 ha scritto:

che brutto...che paura per alien....