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8/10

La morte e la fanciulla regia di Roman Polanski

Drammatico
recensione di Valerio Zoppellaro

In un paese imprecisato dell'America Meridionale dopo la fine della dittatura, Paulina Escobar, moglie di Gerardo, un avvocato facente parte della commissione per le indagini sui crimini avvenuti nel paese a seguito del colpo di Stato, riconosce nel dott. Roberto Miranda la persona che in passato l'ha torturata, causandole traumi dai quali non è mai riuscita a riprendersi completamente.

Roman Polanski dà vita ad un dramma grandissima intensità e caratterizzato da un ambiente claustrofobico e da un'identità relativista. Notevole la capacità del regista di andare in profondità nella descrizione della paranoia scoprendo via via aspetti sempre più segreti ed inquietanti dei tre protagonisti. Il cineasta di origine polacca gioca con i punti di vista dello spettatore, dando delle risposte e poi confutandole completamente, come accade nel convulso finale. Si arriva ad un punto in cui la realtà dei fatti viene talmente desiderata da diventare secondaria rispetto alla psicologia dei protagonisti. Ci si trova infatti di fronte a tre personaggi ambigui, caratterizzati dalle ambivalenze vittima/carnefice ed eroe/antieroe. Se il personaggio di Paulina e del dottor Miranda sono più connotati dalla vicenda (vera o presunta che sia) , Gerardo Escobar è senza dubbio quello di più difficile lettura. L'avvocato da una parte prova un misto di amore, gratitudine e senso di colpa nei confronti di Paulina per tutto ciò che c'è stato tra loro nel periodo delle torture ma dall'altra parte è razionalmente convinto dell'instabilità psicologica della donna che ama. Gerardo vede crollare tutti i suoi ragionamenti basati sul buon senso di fronte a dei sentimenti primordiali e contrastanti. Il film può avere diverse letture a seconda del fatto che si propenda per l'innocenza o per la colpevolezza del dottor Roberto Miranda. Dal mio personale punto di vista non sono riuscito a farmi un'idea e trovo l'opera di notevole profondità per come tratta le ferite psicologiche che restano nell'animo umano quando una qualsiasi dittatura finisce. Per fare un'opera del genere è necessario conoscere la sofferenza sotto ogni sfumatura solo un regista controverso come Roman Polanski può toccare questi livelli di profondità. Tratto da una rivisitazione di un'opera teatrale di Ariel Dorfman, assolutamente da vedere.

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