R Recensione

8/10

Dersu Uzala - Il piccolo uomo delle grandi pianure regia di Akira Kurosawa

Drammatico
recensione di Valerio Zoppellaro

1902: in zona selvaggia lungo il fiume Ussuri, ai confini con la Manciuria, Dersu Uzala, solitario cacciatore mongolo e di età indefinita, incontra la piccola spedizione cartografica del capitano russo Arseniev. Il nomade salva la vita all'ufficiale e i due diventano amici. Si ritroveranno cinque anni dopo, e questa volta sarà il mongolo a dovere la vita al russo.

“Ha una fine triste ma lascia delle belle emozioni” così si può sintetizzare Dersu Uzala, opera di Kurosawa vincitrice del premio Oscar al miglior film straniero nel 1976. Dopo il fallimento del progetto Tora Tora Tora! e il seguente tentativo di suicidio,  Il regista dà vita ad un film basato sul legame tra uomo e natura e sul paradosso dell’ esistenza di un uomo legato visceralmente al proprio ambiente. Dersu è l’ essere perfetto dell’ Emilio di Rousseau, è l’ uomo allo stato di natura idealizzato, l’ espressione tangibile di come la vita dà e toglie senza alcun tipo di giustizia. È anche un’ opera sulla generosità, sulla vicinanza tra uomini appartenenti a culture diverse ma allo stesso genere. Dersu è un personaggio destinato ad essere sconfitto, un po’ come Watanabe in Vivere e vi è una chiara similitudine nella freddezza con cui vengono trattati  entrambi nel momento del funerale. Il protagonista poteva esistere infatti solo nella Taiga, un ambiente difficile in cui sopravvivere e nel momento in cui la vecchiaia lo priva delle qualità che lo rendevano unico e gli permettevano di sopravvivere, Dersu è inevitabilmente condannato a morte. Il capitano Arseniev, che matura nei suoi confronti un affetto e una riconoscenza  infiniti, prova a salvarlo riconducendolo ad una vita sedentaria ma purtroppo non è possibile andare oltre il volere della natura. Il protagonista firma la sua condanna a morte chiedendo di ritornare nella taiga e il capitano non può non accontentarlo. La teoria dei paradossi vuole che Dersu Uzala venga ucciso proprio a causa del fucile che Arseniev gli aveva donato per poter sopravvivere. Fotografia stupenda, grandissima prova di Maksim Munzuk, cantante folk mongolo prestato al cinema. Kurosawa forse si dilunga troppo in alcuni aspetti, specchiandosi un po’ troppo nei bellissimi paesaggi ma è come al solito di una delicatezza rara nel descrivere i personaggi. Come un  semplice sogno avvolgente il cinema del maestro giapponese colpisce al cuore e lascia lo spettatore un po’ più ricco e un po’ più consapevole della sua essenza.

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