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4/10

Friend Request - La morte ha il tuo profilo regia di Simon Verhoeven

Horror
recensione di Marta Terzi

Laura è una studentessa molto popolare e molto amata dai suoi amici, cosa facilmente deducibile anche dai suoi 800 amici su Facebook. Usa quotididianamente i social media per parlare con i suoi amici e condividere momenti di vita quotidiana. Un giorno riceve una richiesta di amiciizia da parte di una sconosciuta, Marina. Quando decide di accettarla, iniziano a morire i suoi amici, uno dopo l'altro, e le restano solo pochi giorni per risolvere l'enigma...

Friend Request è un film horror, lo dico subito per mettere in chiaro le cose. Ma, soprattutto, sempre per essere chiari, vorrei specificare che Friend Request è un horror come tanti altri. Il lungometraggio parte subito in medias res, con un professore che entra in classe e in pochi istanti sviscera uno dei nodi drammatici della storia: il suicidio di Marina Mills; chi sia Marina, a noi non è concesso saperlo. Quindi ci si muove a ritroso in un flashback che spiega sia chi è Marina, che chi è Laura e tutti i suoi amici. Una mossa che potrebbe sembrare intrigante, ma che, nel film, non sembra avere alcun senso, di certo non si percepisce più pathos con il flashback. Da un montaggio veloce si passa, al momento della prima aggressione, ad un ritmo più lento, che fa crescere la tensione. La prima morte è forse l'unica che permette allo spettatore di percepire pienamente la suspense: già  dalla seconda l'adrenalina è scesa e con la terza la storia prende una piega noiosa. Insomma, Friend Request è un film che parte bene, che, nonostante il tema visto e stravisto dei Social Network come trappola per le giovani ragazze, riesce a muoversi bene per i primi minuti, poi, però, inciampa nei soliti cliché del caso: occhi azzurri fino all'estremo, sangue, pur non essendo splatter, e bambole morte e senza testa. Il lungometraggio entra nel vortice della paura che si genera solo per delle immagini a cui il pubblico é suscettibile, ma il risultato é un breve salto sulla sedia e nulla di più. I capolavori del genere, come Shining, si costruiscono, invece, su una tensione crescente, un nodo alla pancia che si sgancia solo ai titoli di coda, non prima. Sono film che non ti fanno stare al sicuro, anche se sono ambientati in un altro tempo. Questa è, secondo me, la strategia chiave dell'horror, giocare sulle pause, sui luoghi vuoti, sul silenzio. Questo film, invece, si muove in direzione contraria. Per prima cosa ci sono tanti, troppi, personaggi principali di cui non si riesce a mettere a fuoco nessuno; non si capiscono le relazioni tra gli uni e gli altri. Due poliziotti che sembrano apparire e scomparire solo quando serve, ma, che ci fossero o no, la storia non cambierebbe di una virgola. Poi vi è un continuo andirivieni di musica, non esiste il silenzio in questo film, per questo per far paura bisogna usare della musica ancora più forte. Senza contare che l'orecchio si abitua ai suoni che si ripetono, quindi dopo un po' la "musica di tensione" perde tutto il suo effetto. Infine, non si respira mai: è un continuo inseguirsi, andare su facebook, scappare. Già  dalla prima morte, se non dal trailer, si capisce cosa succederà  a tutti i personaggi, ma questi sono gli inconvenienti del caso: quando si sceglie di fare un film che spaventi il grande pubblico, che parli di social network, che ruoti attorno alla solitudine, al giudizio e alla cattiveria e che deve, per forza di cose, finire in tragedia, allora non c'è altro modo che abbandonarsi ai soliti cliché del caso. E' l'errore del voler giocare sull'accumulo, sul far prevalere la quantità  sulla qualità, per cui otto morti sono meglio di una fatta bene, costruita bene. Sapete quante persone muoiono in Shining? Una. Nell'Esorcista? Tre. Ecco, ho detto tutto.

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