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9/10

Lebanon regia di Samuel Maoz

Guerra
recensione di Gabriele Niola

Durante la guerra in Libano un contingente israeliano si trova di colpo in mezzo alla battaglia. Nel carro armato dove si svolge il film ci sono 5 soldati di diverso grado per la prima volta coinvolti in un vero scontro le cui intenzioni sono più che altro di uscire vivi da quell'inferno di morte, alleati sanguinari, prigionieri e bombardamenti.

Lebanon è un film in un carro armato, non ci sono altre inquadrature se non quelle là dentro. In questo può ricordare come grammatica filmica e organizzazione della storia i film hollywoodiani nei sottomarini. Il modo di utilizzare la claustrofobia per avvincere e terrorizzare non si discosta troppo da quel modello. L'idea alla base però è completamente diversa, si tratta del film più personale che si possa immaginare, si racconta ciò che è veramente accaduto al regista quando andò in guerra, cioè l'esperienza devastante di uccidere per non morire.

Samuel Maoz ci ha messo anni per venire a patti con l'accaduto e ora questo film completa il processo di esorcizzazione mostrando al mondo che alle volte non si ha scelta, mostrando il profondo sentimento di terrore che porta ad uccidere per vivere.

Contenutisticamente morale fino a rinnegare le ragioni per le quali il proprio paese è in guerra e cinematograficamente grezzo seppur sublime, Lebanon sembra il colpo di genio di un cineasta normale più che un capolavoro costruito a tavolino. Bello, tirato, ritmato, etico e straordinariamente colmo di invenzioni questo film carro armato si appoggia a molte idee che giocano sulla grammatica del cinema.

Come precisato noi vediamo solo l'interno del carro e ciò che accade fuori è visibile unicamente dal mirino dell'addetto al cannone (quello che uccide, quindi il protagonista), ciò che vede, anzi ciò che punta, è ciò che è inquadrato (point and shoot), ogni volta che cambia lente per avvicinarsi o allontanarsi dagli oggetti cui mira sembra di assistere ad uno stacco di montaggio e la maggior parte delle volte ciò che punta con il cannone è ciò che vuole vedere non ciò che vuole distruggere (teoricamente lui non vorrebbe mai distruggere, ma è costretto per non morire), e ciò che vede nella maggior parte dei casi è la deflagrazione che ha portato.

Tutto questo si accompagna ad una serie di domande: cos'è quello che noi spettatori vediamo? E' ciò che il regista vuole farci vedere come nel cinema classico o è ciò che il soldato vuole guardare? Vedere materialmente attraverso i suoi occhi ci parla della sua morale? Dunque la morale è nello sguardo?

A queste domande non c'è riposta, nemmeno il regista l'ha, ma il solo porsele è il bello di Lebanon.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 3 voti.
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alexmn 8/10

C Commenti

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SanteCaserio (ha votato 6 questo film) alle 23:57 del 23 ottobre 2009 ha scritto:

Non credo

che i capolavori si possano costruire a tavolino (esordio dialettico ma che non vuole essere per niente offensivo). Sulla recensione mi permetto solo una domanda, legata al passaggio sulle "invenzioni" (quali sono?). Nel corso del film ho avvertito una notevole capacità nell'utilizzo di stilemi poco diffusi ma non inediti (i "sottomarini" giustamente citati sono più di scuola tedesca che nordamericana). "il manifesto" faceva giustamente notare l'importanza del carrarmato nell'apparato bellico israeliano, quindi sul piano morale rimane un'ambiguità per niente pacifista. Alcune scene le ho trovate poco digeribili. Dall'asino che lacrima al "tocco di porno bellico" (Cahiers du cinema) della donna nuda. Poco approfonditi i personaggi, superficiale la fase scrittoria. Che l'assoluzione del regista sia davvero la base di questo lungometraggio? Un Leone al quanto discutibile, per quanto mi riguarda. Tutto il valore che riesco a dargli nasce dal legame autobiografico del regista (ma non degli attori, come sottolineano in Israele), non mi convince su nessun altro fronte.

Peasyfloyd, autore, (ha votato 8 questo film) alle 12:15 del 22 marzo 2010 ha scritto:

io invece l'ho trovato molto interessante e convincente. Davvero un piccolo gioiellino, in grado di commuovere e di far capire l'orrore della guerra in maniera incisiva.