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R Recensione

7/10

Pollo alle Prugne regia di Vincent Paronnaud

Drammatico
recensione di Giulia Colella & Fulvia Massimi

Teheran, 1958. Dopo che la moglie ha distrutto il suo violino, Nasser Ali Khan decide di lasciarsi morire. Il film racconta la sua ultima settimana di vita.

Giulia Colella (voto 7).

Immaginazione e ricerca della bellezza assoluta sono gli ingredienti principali della nuova, delicata, coinvolgente e malinconica ricetta cinematografica della coppia di registi formata da Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud.

Nessuno, nemmeno l’artista sa quale sia il silente e magico segreto del sacro furore dell’ispirazione. Naturalmente questo millenario mistero non lo conosce neppure il violinista iraniano Nasser Ali Khan. Lui percepisce solo l’intenso dolore provocato dalla gelida e crudele ferita infertagli dall’estranea e distante moglie con la rottura del suo preziosissimo violino, che si rivela assolutamente insostituibile.

La vita è troppo dura ed imprevedibile, il destino ha disegnato i suoi pazzi scarabocchi, il mondo è divenuto solo una bislacca girandola e Nasser Ali Khan comprende che con la pesante assenza della musica non serve che lo spettacolo della sua vita prosegua. Da qui nasce la decisione del protagonista di chiudersi nella sua grigia e buia stanza ed attendere pazientemente la morte.

In questo modo inizia una favolosa odissea nel mare della memoria, che raccoglie il sentimento dolceamaro del presente, riporta ad un vivace e straordinario passato e percepisce con malinconia il futuro. Nella settimana che conduce al passaggio verso il regno dei morti nella mente di Nasser Ali Khan si alternano i più tristi ricordi alle più stravaganti fantasie. Sogno e realtà, sensazione e puro spirito si alternano in un delizioso collage di stili, dando ampio respiro all’opera, in una coraggiosa mescolanza di generi e suggestioni.

Dopo aver sorpreso ed affascinato il pubblico con la storia della sua esilarante giovinezza, raccontata nel suo memorabile film d’animazione Persepolis (2007) Marjane Satrapi attinge ancora alla sua memoria famigliare, scrivendo una nuova graphic novel (molto fedele al film) ispirata alla storia di uno zio mai conosciuto e vissuto intorno agli anni Cinquanta.

Un uomo incompreso ed incomprensibile inserito in una società che rifiuta con forza e soffoca ogni spirito libero sotto la flebile promessa della prosperità economica, ma che in realtà accetta un processo inesorabile di sottomissione e di conseguente perdita d’autonomia. Qui s’inserisce l’aspra critica sociologica e storica dell’autrice alla politica iraniana ed alla depauperazione delle risorse da parte degli Stati stranieri (il riferimento principale è alla nazionalizzazione del petrolio), talvolta attraverso il sottile e pungente simbolismo dei personaggi, talvolta con scene di fortissimo impatto satirico (ne è un esempio l’esilarante scena di critica allo stile di vita americano).

La pellicola subisce il fascino discreto della narrazione cinematografica europea, recuperando la tradizione onirico/esistenzialista del racconto tipicamente felliniano, con l’aiuto della tecnica del neorealismo fantastico francese che trova come capostipite il celebre film Il favoloso mondo di Amelie (2001) di Jean-Pierre Jeunet, influenza che dà saltuariamente allo spettatore di Pollo alle prugne la sensazione di trovarsi di fronte a un qualcosa di già visto.

Mathieu Almaric è un fantastico protagonista, che sa miscelare immaginazione ed inquietudine, rendendo Nasser Ali Khan un alter ego del popolo progressista iraniano, agognante di una libertà e di una giustizia mai raggiungibili, che conduce ad un auto - esilio intellettuale ed a una metaforica (ma non troppo) morte. In definitiva un uomo che arriva alla consapevolezza d’aver perso l’amore e il gusto per i semplici piaceri della vita, compreso quello d’assaporare la sua pietanza prediletta, il pollo alle prugne appunto.

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 Fulvia Massimi (voto 8).

Con Persepolis, piccolo-grande caso della stagione cinematografica 2007-2008 (Gran Premio della Giuria a Cannes e una nomination all’Oscar), l’illustratrice iraniana Marjane Satrapi si era dimostrata capace di trasformare la critica ironica ma corrosiva al regime persiano, lanciata dalle pagine del suo graphic novel, in un film d’animazione notevole per originalità e impatto espressivo.

Cinque anni più tardi, affiancata per la seconda volta dal comico francese Vincent Paronnaud, la Satrapi torna dietro la macchina da presa per tentare un’operazione ancor più ambiziosa ma pienamente riuscita: fare del suo settimo “romanzo illustrato”, Pollo alle prugne, una pellicola di fiction con attori in carne ed ossa, presentata con successo alla 68esima Mostra del Cinema di Venezia.

La Teheran degli anni ’20 e ’50 non è più il teatro delle rivoluzioni socio-politiche che avevano animato le pagine in b/n di Persepolis ma fa da sfondo ad una fiaba onirica e struggente, a metà tra commedia nera e melodramma: un racconto carico di figure archetipiche e ancestrali (da notare la quasi-omonimia tra il protagonista Nasser-Ali e lo Scià di Persia Nasser-al-Din Shah, illustre antenato dell’autrice), nel quale la malinconia dell’amore spezzato si fonde con la fiera celebrazioni di radici culturali sincretiche ma mai rinnegate.

L’occidentalizzazione dettata dalla co-produzione europea (una partnership franco-belgo-tedesca) e dal cast francofono (piccola parte anche per la nostrana Isabella Rossellini) rende necessari alcuni piccoli aggiustamenti (uno su tutti: il violino e non più il sitar), pur senza snaturare l’impianto narrativo di un’opera nella cui cornice fiabesca, e a tratti surreale, perfino le concessioni più fantasiose trovano ampia giustificazione. Che sia l’angelo della morte Azrael a narrare il racconto degli ultimi giorni di vita di Nasser-Ali non è allora così sorprendente, giacché, a differenza di Persepolis - dove la voce-over era quella di Chiara Mastroianni (qui nel ruolo di Lili adulta) – non è la natura autobiografica della storia a ispirare le potenti stilizzazioni della Satrapi, quanto piuttosto l’esigenza di cimentarsi con le infinite possibilità della favoloso e del fantastico.

Per tradurre su schermo lo sconvolgimento di fabula già operato su carta, la Satrapi adotta le medesime soluzioni strutturali, conservando la scansione in capitoli del graphic novel (non a caso sottotitolato “un romanzo iraniano”) e facendo nuovamente affidamento sulle abilità di Stéphane Roche al montaggio, così da guidare lo spettatore in un viaggio temporale che alle consuete esplorazioni del passato associa le potenzialità retoriche della prolessi, senza perdere in fluidità narrativa né tantomeno visiva.

Il tratto stilistico distintivo della Satrapi – un minimalismo bicromatico perfettamente funzionale nella sua essenzialità – viene abbandonato a favore delle molteplici soluzioni espressive offerte dal cinema, spaziando da codici più tradizionali a quelli più azzardati dell’animazione (a colori), della sit-com (esilarante il flash-forward di Cyrus adulto) e della traduzione onirica di pulsioni erotiche (verso la Sophia nazionale) e tanatologiche (ovvero “ma quant’è difficile suicidarsi?”). L’ironia tragica s’insinua così nel discorso filmico, donandogli leggerezza e rendendolo paradossalmente più sopportabile, soprattutto in vista dello struggimento melodrammatico delle sequenze conclusive.

Il racconto dell’amore impossibile tra Nasser-Ali e la giovane Irane (Golshifteh Farahani), così mitigato e attutito, non risulta allora eccessivo nella sua drammaticità, e giunge infine a giusto compimento di una narrazione sopra le righe, che alle logiche della narrazione illustrata deve molto, o forse tutto. In una pellicola che alla musica dedica un’attenzione ed un affetto così sentito (è nello strumento spezzato che si situa la metafora dell’amore infranto e della rinuncia alla vita) il lunghissimo montaggio alternato conclusivo, magnifico pezzo di cinema “muto” accompagnato soltanto dalle melodie di Olivier Bernet, è tanto più significativo nel suo agire per contrasto, condensando nella segmentazione ellittica delle immagini la forza di un sentimento inesprimibile a parole: l’amore che viaggia attraverso il tempo e gli spazi, sopravvivendo nella memoria per spegnersi infine di fronte ad un mancato(?) riconoscimento.

I pochi cenni storici, affidati al personaggio del comunista Abdi (Eric Caravaca) e alle scenografie di Udo Kramer, forniscono una sommaria contestualizzazione, ma non impediscono alla novella della Satrapi di superare le barriere della realtà per approdare al regno magico del mito moderno: uno spazio ricolmo di cianfrusaglie, ninnoli e polveri dorate come il bazar del mellifluo Houshang (strepitoso Jamel Debbouze nel doppio ruolo di mercante e mendicante). Contrariamente a Deleuze, allora, Pollo alle prugne dimostra come lo “shock visivo” possa avere luogo non solo grazie al pensiero ma anche al sogno, trascinando lo spettatore in un’esperienza multisensoriale che alla vista e all’udito associa le capacità tattili, olfattive (il profumo del gelsomino ritorna proustianamente protagonista dopo Persepolis) e perfino gustative (a partire dal titolo) della settima arte.

Istrione moderno, Mathieu Amalric si getta a capofitto nell’universo straniante e allucinato di Nasser-Ali senza risparmiarsi e portando agli eccessi – comici e drammatici – un talento poliedrico sorprendentemente malleabile. Nei tableaux vivants così come nelle gestualità esasperate ed esagerate, desunte dall’impianto fumettistico, Amalric (e Maria De Medeiros con lui, nel ruolo dell’insopportabile moglie Faringuisse) si ritrova appieno, aiutato dalla fisionomia insolita che lo caratterizza per natura, e giustifica così una scelta di casting che non potrebbe essere più appropriata, o, per meglio dire, obbligata. Ed è grazie alla sua interpretazione che il violinista dal cuore spezzato ritratto dalla Satrapi acquista lo spessore della terza dimensione, consentendo alla disegnatrice iraniana di centrare il suo secondo obiettivo registico e di consolidare le basi di una visione cinematografica consapevole, che alla volontà di porre domande affianca quella di manipolare i mezzi espressivi dell’arte trascendendo le mere categorizzazioni di genere.

Commedia, tragedia, racconto storico o fiabesco si mescolano e si compenetrano senza prevalere l’uno sull’altro, poiché il cinema, come l’animazione, è anzitutto medium e, in quanto tale (a MacLuhan piacendo) foriero di un messaggio, sia esso la denuncia di una condizione sociale o la drammatizzazione di un concetto universale come l’amore. E Marjane Satrapi non poteva trovare modo migliore per dimostrarlo.

 

V Voti

Voto degli utenti: 8/10 in media su 2 voti.
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1
alexmn 7/10

C Commenti

Ci sono 4 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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forever007 (ha votato 9 questo film) alle 14:02 del 17 giugno 2013 ha scritto:

Un film davvero sorprendente, non pensavo che mi colpisse così tanto..Lo consiglio davvero a tutti

tramblogy alle 14:47 del 17 giugno 2013 ha scritto:

Curioso ....allora me lo guardo...

tramblogy alle 22:23 del 4 luglio 2013 ha scritto:

Fantastico !!!!!w socrate.

forever007 (ha votato 9 questo film) alle 0:26 del 5 luglio 2013 ha scritto:

La scena di Socrate è davvero esilarante..