Il Concerto regia di Radu Mihaileanu
CommediaAll'epoca di Brè?nev, Filipov è il più grande direttore d'orchestra dell'Unione Sovietica e dirige la celebre Orchestra del Bolshoi. Viene licenziato all'apice della gloria quando si rifiuta di separarsi dai suoi musicisti ebrei. Trent'anni dopo lavora ancora al teatro, ma come uomo delle pulizie. Una sera si trattiene fino a tardi per tirare a lustro l'ufficio del direttore e trova casualmente un fax indirizzato alla direzione del Bolshoi: a Parigi è richiesta l'esibizione del'orchestra moscovita. Filipov decide di tentare l'impossibile e ritirare su la sua orchestra nel giro di due settimane, per cogliere l'occasione di riscattarsi.
Pole un comunista andare a vedere un film antisovietico?
Così vengo salutato dall'amico con cui ho finito di cenare, prima di andare al cinema. La risposta ovviamente è sì, perché gli ideali non devono mai trasformarsi in maschera ideologica buona per meccanismi di potere, soprattutto quando dietro a questi si nascondono sentimenti antisemiti. Così Radu Mihaileanu torna ad analizzare la questione ebraica dalla terra russa, tessendo una rete di ironia e poesia che ironizza sull'essere umano. Train De Vie lasciava sul confine sovietico, qui ci si ritrova in uno dei cuori culturali moscoviti, il Bolshoi che tanto viene declamato anche in occidente, anche quando non se ne conosce quasi nulla.
Torna il tema del mentire a fin di bene, dell'individuo che sfugge al sistema grazie all'ingegno e al sotterfugio. Permane anche il senso dell'apolide, estraneo in qualsiasi contesto ma a suo agio con gli altri uomini, con l'arte come canale universale di comunicazione (peccato per chi non potrà guardarsi il lungometraggio in lingua originale, godendo dei tre diversi registri linguistici presenti).
Una risata li seppelirà, sembra che il regista voglia seguire il precetto, perdendo magari in originalità. Si gioca molto sugli stereotipi, scadendo in alcuni passaggi nello scontato, riducendo il film a una sensazione di già visto. Comunque gli elementi di forza compensano in modo eccellette i difetti, non inediti, di Mihaileanu. Per fortuna manca la retorica anticomunista, si preferisce rimanere su un livello di disamina verosimile, spesso assente quando si affrontano argomenti legati dell'Unione Sovietica. In fondo il contesto è quasi una semplice occasione per mettere in campo il dialogo interculturale tra diversi sistemi, spiegando come anche gesti insignificanti possano dare o togliere il senso ad una vita. Il surreale denuncia così lo smarrimento dell'individuo, oppresso nei sistemi totalitari e privo di punti di riferimento nella società contemporanea. Chi meglio può muoversi nel presente se non i gitani e gli ebrei, tradizionalmente privi di una casa?
Ci aveva già pensato Rosa Luxemburg a rispecchiare il suo ideale sociale come un insieme di componenti che trovano l'armonia come in un concerto. Niente di nuovo sotto al sole quindi ma è raro ritrovare questo tema trasposto cinematograficamente in modo così efficace e ironico.
Riadattando una sceneggiatura non sua, il regista rumeno riesce a mettere insieme una critica affezionata rivolta a ebrei, russi e gitani. Chi ne esce con le ossa rotte è però la parte francese, chiamata in causa con un ruolo da comprimaria. Buono anche il livello della recitazione, scolastica per quanto riguarda i russi e commovente per Melanie Laurent (che deve molto della sua notorietà a Tarantino, che l'ha diretta in Bastardi Senza Gloria).
La banalità di alcune trovate e il romantico elogio di un senso dell''amicizia sostanzialmente ingenuo si fanno perdonare facilmente.
Per chi non fosse ancora convinto della validità della pellicola: la metafora dell'armonia tra violino e orchestra vale tutto il film, Tchaikovsky è sempre Tchaikovsky .
Divertente, con diversi spunti di riflessione. Non brillante.
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