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7/10

Urlo regia di Rob Epstein

Biografico
recensione di Fulvia Massimi

1955, San Francisco. Allen Ginsberg scrive Urlo (Howl and other poems), poema in tre parti dedicato all’amico Carl Solomon, conosciuto in manicomio. Due anni più tardi si apre il processo a carico dell’editore Lawrence Ferlinghetti, reo di aver pubblicato un’opera tacciata di oscenità. All’avvocato della difesa Jake Ehrlich il compito di dimostrare il valore letterario e sociale di Urlo, salvandolo dalla censura.

Sprovvisti di sufficiente materiale originale, i documentaristi Rob Epstein e Jeffrey Friedman scelgono la via della fiction per ricostruire gli atti del processo e le parallele vicissitudini di Ginsberg all’epoca dei fatti, offrendo con Urlo uno splendido saggio di cinema indipendente e intelligente.

Il montaggio febbrile di Jake Pushinsky alterna le fasi (a colori) del processo a sequenze in b/n della prima lettura pubblica di Howl alla Six Gallery di San Francisco, creando un originale ibrido tra court-room drama e (finto) documentario. I versi del poema, declamati dalla voce ironica e camaleontica di James Franco, accompagnano le immagini come un leitmotiv: ritenute per lo più incomprensibili dall’avvocato dell’accusa Ralph McIntosh (che ne legge stralci in tribunale sperando di farsene beffa, invano), le pagine di Urlo trovano un corrispettivo visivo nelle splendide animazioni create dal disegnatore Eric Drooker.

La società underground descritta impietosamente da Ginsberg si dipana davanti agli occhi in un trionfo di colori e immagini cartoonistiche, un vortice capace di restituire il senso dell’esperienza allucinatoria vissuta dal poeta durante la stesura dell’opera. Il lessico audace – e per questo “osceno” -  si impasta a ritmi jazz e ad una metrica che si ispira a Leaves of Grass di Walt Whitman al punto da rischiare un’accusa di plagio (è la tesi del professor David Kirk/Jeff Daniels) ma è anche l’unico possibile per dare corpo alle suggestioni metropolitane osservate da Ginsberg nei suoi deliri.

Il consumo disinibito di droghe e (omo)sessualità sfrenata esplode sulla pagina stampata e il dibattito su cosa abbia valore letterario e cosa ne sia totalmente sprovvisto apre una breccia nella critica accademica. L’accusa infierisce su forma e stile, estrapolando versi che, privi di contestualizzazione, divengono facili bersagli, mentre nel salotto di casa propria Allen Ginsberg riflette sulle scelte compiute conversando con un anonimo intervistatore.

L’arringa finale di Ehrlich/Jon Hamm (il mad man per antonomasia si trova a suo agio anche nei Fifties, con immancabile brillantina in testa) è un inno alla libertà di pensiero ed espressione, il tentativo di portare la luce in un universo, quello letterario, dominato da tradizionalismi e chiusure mentali. Liberare Urlo dal giogo censorio significa aprire uno spiraglio culturale alla modernità, al progresso, alla diversità, consacrando un poeta al successo della prova più difficile: quella del tempo.

Prodotto da Gus Van Sant (sua la proposta di utilizzare il magnifico James Franco – già amante di Sean Penn nel suo Milk - come protagonista), Urlo dipinge un ritratto esaustivo, pur nella sua incompletezza, dei fermenti di quella beat generation che, secondo Ginsberg, non è mai esistita, se non nella forma di un gruppo di amici ansiosi di scrivere e veder pubblicati i lavori delle “migliori menti della loro generazione”.

Neal Cassidy e Jack Kerouac fanno capolino dagli stralci autobiografici ricordati da Ginsberg così come dalla piccola folla riunita attorno al poeta nella Six Gallery, rapita dall’estasi declamatoria e dalla furia dei suoi versi. Ma non sono i compagni beatnik i soli ad aver influenzato in maniera determinante una delle più significative opere poetiche del ventesimo secolo. Il ricovero in manicomio (dopo aver sperimentato la malattia mentale per via materna) e l’osservazione della realtà sotto effetto di peyote, sono alla base di un ripensamento della società contemporanea, schiacciata dalla mostruosità incombente di Moloch, emblema di una civiltà ormai in caduta libera.

Attraverso una parola senza freni, Ginsberg trova il modo di affermare la propria diversità, liberandosi dal senso di inadeguatezza per uno stile di vita lontano dai canoni comunemente accettati. L’omosessualità cessa di essere motivo di sofferenza per diventare “grido di gioia”, celebrazione di un’esistenza trascorsa accanto al partner Peter Orlovsky (Aaron Tveit). E poiché dove c’è Van Sant c’è impegno gay, neanche Urlo fa eccezione.

Miscelando e dosando gli ingredienti più disparati (cartoon, docu-fiction, scene in bianco e nero ispirate a foto d’epoca), Epstein e Friedman firmano una pellicola ambiziosa ed eclettica che vanta, tra i molti pregi (non ultimo il binomio cinema indie -cultura) un cast tecnico-artistico invidiabile, con Edward Lachman alla fotografia e le musiche originali del coeniano Carter Burwell.

 

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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Marco_Biasio (ha votato 6 questo film) alle 15:49 del 19 maggio 2011 ha scritto:

Il film è praticamente una revisione della ciceroniana Pro Archia in chiave beat. Quindi il film scorre bene, anche per la brevità complessiva e lo spezzettarsi delle scene, e vive i migliori momenti (a mio modo di vedere) quando al bianco e nero si alternano gli ingressi animati e la materia filmica si sfalda, sotto gli effetti dello stesso peyote assunto da Ginsberg e Cassidy, divenendo colorata ed esplosiva psichedelia. D'altro canto, c'è da dire che sono poco riusciti gli ingressi degli stessi protagonisti e che il doppiaggio in italiano è letteralmente osceno. Quindi buon film, ma non eccelso! Da apprezzare se non altro l'iniziativa. Brava Fulvia

hayleystark, autore, alle 20:19 del 19 maggio 2011 ha scritto:

Troppo buono. Il doppiaggio italiano è, ahimè, a dir poco imbarazzante (il che, ultimamente, succede un po' troppo spesso) e la performance di James Franco ne esce praticamente snaturata. Concordo sull'efficacia della "grafica" rispetto al "reale", fosse rimasto un poema puramente visvo, il film avrebbe reso sicuramente di più.

Peasyfloyd (ha votato 6 questo film) alle 21:06 del 20 maggio 2011 ha scritto:

a me non ha convinto moltissimo questo progetto, a partire dall'alternanza tra animazione poetica e narrazione spesso assai verbosa e intricata. Ci si specchia un po' troppo cadendo un po' in una rappresentazione stentata e asfittica (e noiosa, diciamocelo!). Nel complesso cmq la sufficienza gliela si può dare dai