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R Recensione

10/10

Last Days regia di Gus Van Sant

Psicologico
recensione di Pasquale D'Aiello

Blake la copia addolorata di Kurt Cobain, che si consuma e consuma gli ultimi giorni della sua vita. La cronaca lirica e monotona della sua solitudine esistenziale interrotta da un venditore di Pagine Gialle che gli pone quesiti inserzionistici, da un detective che rivela storie e aneddoti dimenticando il soggetto investigato e dalla madre di Blake che lo supplica di andare via con lei. Intorno alla casa, che lo contiene insieme alla sua musica, respira la natura, scorre l'acqua in cui Blake monda i peccati e fa scivolare il dolore. Circondato da giovani coinquilini indifferenti, Blake compone il suo requiem e si congeda dal suo corpo.

Nell'epilogo del film assistiamo alla separazione-liberazione dell'anima di Blake-Kurt dal groviglio irrisolto dei legami ingestibili. L'anima di Blake esiste e si manifesta sulla terra. La divaricazione non e' tra immanente e trascendente ma tra immanente-vitale e immanente-mortale. Vitale e' la ricerca (della liberta', dell'altro, del sè,...), mortale è l'incapacita' (di dire, di amare, di riconoscere,...). Ecco che, per paradosso, la morte puo' apparire "vitale" in quanto negazione (annullamento) delle sconfitte e delle loro conseguenze.

L'anima si delinea per sottrazione, come una statua appare per eliminazione del materiale in eccesso. Van Sant indaga Blake, allo stesso modo in cui un pittore pensa al suo soggetto. E' un immagine, volatile per sua natura, oggettivamente inesistente che va colta attraverso le sensazioni che riesce ad emanare. L'anima di Blake si illumina mentre il corpo comincia lentamente a svanire. Un corpo che non collabora, vuole cedere, vuole sottrarsi al contesto. Il corpo comincia a cessare gradualmente, socialmente, negandosi ai legami, alle relazioni, alla vista. Il soggetto si autopercepisce attraverso questi elementi etici e attua incosapevolmente un'operazione di decostruzione del se', al cui termine "resterà" un'anima intellegibile anche se non piu' connessa ad un corpo.

L'osservazione di Van Sant procede apparentemente per inerzia, secondo la stessa legge naturale che porta il soggetto verso la sua fine. Il movimento di indagine e' naturale non gia' in quanto trasparente ma in quanto consustanziale al suo oggetto di osservazione. La presenza dell'osservatore e' fortissima, ma l'osservatore e' assolutamente solidale con il sistema di riferimento in cui e' Blake. La MdP di Van Sant si permette di seguire Blake scartando un albero in una direzione diversa da quello della corsa di lui. E' un'affermazione perentoria del regista-osservatore: "sono qui! Nello spazio filmico, dentro, con la mia idea, il mio corpo".

Non esiste una realta' oggettiva da narrare! Il regista lo afferma riproponendo piu' volte lo stesso episodio, con parole e gesti diversi. E con diverse inquadrature, in quanto non esiste neppure una narrazione definitiva. Un oggetto-concetto sfuggente si puo' cogliere solo attraverso un osservatore mobile, instaurando un processo dialettico,  configurando l'incontro di due realta' in movimento che si presentano all'appuntamento con lo spettatore  in modo informe, non-definitivo, assolutamente provvisorio. In questa indeterminazione esiste lo spazio di ospitalita' verso lo spettatore, un invito ad entrare, se non nella scena, almeno nell'idea della narrazione. Un'idea che e' (in) movimento, e' lo spostamento del soggetto verso il margine (della vita), la sua fuoriuscita dalla scena. Il margine sfugge alla misurazione, appartiene all'insieme che delimita ma anche al suo complemento. L'assenza di misurazione implica assenza di giudizio. Lo sguardo morale e' sospeso, perchè privo di (un) senso. Acquisiamo la consapevolezza che il senso di (un) giudizio non appartiene a chi osserva ma a chi e' osservato. Le regole dell'osservatore non sono utili perche' non spiegano. Se chi e' osservato e' privo di strutture non offre strumenti di giudizio.

Un'epica inquadratura allarga il campo, con lentezza esasperante, rendendo Blake sempre piu' lontano. Ma la sua voce e' sempre piu' viva, lacerante. Mentre il suo corpo scompare, l'idea di lui, della sua sofferenza, il senso dell'assenza di senso divengono vividi, palpitanti. Prende forma la terrificante consapevolezza di una vita che spegnendosi restituisce tutta la sua energia come un pianeta capace di regalare luce anche dopo la sua esplosione, a patto di esserne terribilmente lontani.

 

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Voto degli utenti: 7,4/10 in media su 5 voti.
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Noodles (ha votato 9 questo film) alle 15:36 del 25 aprile 2012 ha scritto:

Capolavoro lacerante, introspettivo. Lo scandaglio più perfetto di una solitudine sul viale del tramonto.